sabato 15 novembre 2014

Ah, quindi non era solo un gobbo geniale...

Se qualche giorno fa qualcuno mi avesse chiesto di descrivere in poche parole (quello che so di) Giacomo Leopardi, avrei risposto pressapoco così: "Ehm...beh, immenso poeta recanatese, genio indiscusso, come indiscusso fu il suo pessimismo, il suo odio verso la Natura (intesa come forza dispotica e spietata) e la sua sfiga che raggiunse l'apice con l'avvento della morte a soli 38 anni. Ah, era pure gobbo."
Fortunatamente Giacomo Leopardi non fu solo uno straordinario letterato, malinconico e curvo. Fu soprattutto un letterato straordinariamente umano.

Ciò emerge da Il giovane favoloso (https://www.youtube.com/watch?v=n3JdpPk1lWs), film biografico di Mario Martone sulla vita di Leopardi.
Innanzitutto, la divisione spaziale operata dal regista, che ha scelto di inquadrare la vita del poeta nelle tre fasi recanatese, fiorentina e napoletana, si è rivelata efficace.
Si comincia con un Leopardi poco più che adolescente, immerso nel celeberrimo studio "matto e disperatissimo", e già afflitto da qualche guaio fisico (l'altrettanto famosa salute cagionevole), con l'aggiunta di ricordi e flashback atti a sottolineare quanto l'infanzia sia stata il suo periodo esistenziale prediletto.
Di conseguenza ecco risaltare il pessimismo, altro aspetto tipicamente leopardiano, dettato dalla soffocante condizione sociale prima ancora che fisica. Infatti, l'oppressione familiare, la mancanza di affetto, il rigido bigottismo genitoriale e la chiusura in quella torre d'avorio che è casa Leopardi, fatta di libri, traduzioni, preghiere e totale alienazione dal mondo esterno (insomma un'istigazione al suicidio!), alimentano la desolazione di Giacomo, agevolandone, probabilmente, il deperimento fisico.
E anzi, pensandoci bene, stando agli scritti e ai documenti raccolti da Martone per la realizzazione del film, è da "baciarsi le mani" che, viste le circostanze, ne sia uscito un formidabile poeta, e non un satanista, un oppiomane o un qualche tipo di serial killer!
Non sono un profondo conoscitore del letterato recanatese, ma trovo che, tra i tanti aspetti già insegnatici a scuola, il film ci racconti anche alcune nuove verità: oltre al Leopardi "conosciuto" fatto di apprendimento fino al dolore agli occhi (che non ho mai provato, ma dev'essere davvero uno schifo), di bruttezza estetica, tra gobba, gracilità, debolezza e difficoltà respiratorie (che in una società come la nostra, fondata troppo spesso sull'apparenza e sull'apparire, ha sempre giocato un ruolo grottescamente affascinante, e quasi cinicamente divertente, nello studio scolastico del poeta) e, infine, di malinconia delle sue odi, ecco un Leopardi "inedito" fatto di sottile ironia e arguto sarcasmo, animato dal desiderio rivoluzionario di mandare tutti a fanculo e ribellarsi alla condizione in cui si trova, per poi essere frenato, tuttavia, da quella salute che a volte è ostacolo reale, altre è pretesto per autocommiserarsi e rimanere in quella stessa situazione, seppur tanto odiata ("Odio questa prudenza, questa vile prudenza! Ci rende impossibile ogni grande azione!!")

Per non parlare della sfera sentimentale, del desiderio di amare ed essere amato, della scelta di sfruttare il suo talento e le sue conoscenze per attrarre la leggendaria Fanny Targioni Tozzetti (che, assieme alla Beatrice dantesca, alla Laura petrarchesca e al 95% delle donne citate nelle canzoni di Max Pezzali, rientra di diritto nel gruppo della "S.C.O.R.D.A.T.E.L.A." ovvero "Sciacquette Che Osarono Rifiutarsi Di Amare Tenebrosi E Luminosi Artisti").
E' nota, infatti, la vicenda della nobildonna fiorentina che (sentimentalmente parlando) non si filò per un solo istante lo speranzoso genio marchigiano, preferendo l'amico figo (tale Antonio Ranieri) e suscitando nello spettatore quella tipica solidarietà che ogni uomo prova verso il proprio "fratello" nel momento in cui quest'ultimo, dopo tentativi e sforzi vani, si vede sventolare in faccia il temuto "due di picche", in favore del compare belloccio (e, a dirla tutta -osservando lo sguardo desolato del bravissimo attore-protagonista Elio Germano-, pur non credendo nell'ateismo leopardiano, tra delusioni sentimentali e una salute da ottantenne, penso che, fra tanti virtuosismi retorici, qualche blasfemia dalla bocca di Giacomino sia uscita più di quanto le carte possano testimoniare).
Insomma, la grande autostima, minata dal consapevole ma discontinuo rifiuto del suo aspetto fisico, e perennemente scossa da un irrefrenabile desiderio "di amore, di entusiasmo, di fuoco, di vita" pervade tutto il film, proponendo un Leopardi fermamente conscio dei proprio mezzi e, al contempo, estremamente fragile e insicuro (un dannato "ossimoro vivente", perché se un artista non è incasinato, non è un artista!)

Infine penso che il merito di Martone sia stato quello di riconsegnarci un autore molto più vicino a noi di quanto i suoi straordinari componimenti ci abbiano mai fatto pensare; un autore giovane, desideroso di amore e di svago (epica la scena in cui si ritrova in una locanda di Napoli, sbronzo, assieme ad alcuni tizi conosciuti poco prima... E, obiettivamente, a chi di noi non è capitato, anche senza aver scritto "Zibaldoni" e "Operette morali" varie?!?). Un uomo prima che un poeta.

Dulcis in fundo, colonna sonora straordinaria! L'accostamento della musica elettronica di Apparat ai paesaggi italiani del primo '800 è curiosamente geniale ed azzeccatissimo.

Godetevelo! Buona Visione!

domenica 7 settembre 2014

Universitalia: dalle stelle alle stalle

“Pomeriggio spompo di domenica” come diceva Ligabue... Ma, in realtà, il cantante reggiano non ha niente a che fare con questo articolo; quindi coloro che si attendono considerazioni sui suoi pezzi e le sue melodie rimarranno delusi.
C’entra il “pomeriggio spompo di domenica” e c’entra il fatto che, per renderlo più sopportabile e utile di un comizio di Borghezio o di Giovanardi, decido di sfogliare il D di Repubblica, inserto del sabato, appartenente a L’Espresso (gruppo editoriale partorente l’omonimo settimanale sinistroide, comunista, rivoluzionario, bolscevico, marxista, ma zeppo di pubblicità di Rolex, BMW, Audi, Gucci, che ti fanno chiedere: “Maaaaa... Com’era quel discorso della lotta al Capitalismo??”); e, sfogliando l’inserto del quotidiano romano, noto un tanto breve quanto accattivante pezzo di Elisabetta Muritti sugli “atenei più smart al mondo”.
Dall’articolo emerge che, stando alle classifiche stilate dalla società francese Emerging and Tredence, dal periodico britannico Times Higher Education e dall’università Jiao Tong di Shanghai, gli atenei italiani, tra le accademie in cui le aziende concentrano la ricerca di nuovi impiegati, risultano ai piedi della piramide, compattamente surclassati dallo strapotere statunitense (Harvard, Princeton, Yale, Stanford) e inglese (Oxford, Cambridge).

Come hanno fatto gli atenei italiani a cadere così in basso? Com’è potuto succedere che la culla della cultura accademica planetaria sia sprofondata inesorabilmente negli inferi delle classifiche (cercando, ovviamente, di considerare tali graduatorie affidabili e fugando il sospetto di probabili, per non dire certe, influenze economico-politiche nella redazione delle stesse)?

Non lo so.

Da studente universitario posso ipotizzare una pessima gestione delle facoltà (o dipartimenti che siano), dove la meritocrazia non è un possente cavallo che traina il carro, ma una fastidiosa vespetta che ronza, ronza, ronza e di tanto in tanto punge (ma prima o poi verrà schiacciata!); oppure il sopravvivere dei baroni (più che negli altri Paesi) i quali si insediano per poi deporre le loro uova, in attesa che le larve infestino il sistema, tra vergognose raccomandazioni, promozioni inspiegabili e nefandezze varie (ma un favore prima o poi serve a tutti!); oppure il perseguimento dell’obiettivo politico (mascherato da scetticismo e incapacità) di evitare che giovani brillanti e indipendenti possano ricoprire posizioni di rilievo ovvero ricevere i fondi necessari per portare avanti i loro progetti (mmm...giovani, brillanti, determinati, sognatori, magari anche eticamente istruiti!! No, non vanno bene...meglio i dinosauri che sanno come “gira il mondo”); o ancora, più pragmaticamente, la promozione dell’ignoranza, attraverso il mancato investimento nello studio delle lingue (l’inglese su tutte), attraverso la proiezione di programmi radio-televisivi e la pubblicazione di articoli a bassissimo impatto informativo, attraverso la morte della cultura, la morte dell’università.

Per ora, tuttavia, l’unica arma in nostro possesso è la comunicazione, la divulgazione di queste classifiche e l’indignazione, provando a suggerire o meglio ad esigere che la nostra università venga migliorata; e se è già migliore, come alcuni affermano, pretendere che tale prestigio venga sponsorizzato all’estero.
E sarebbe opportuno valorizzare, anche mediaticamente, gli atenei che hanno rivelato, negli ultimi anni, strutture all’avanguardia e docenti preparati, a prescindere dal blasone del nome, dato che per molti, anzi troppi, dopo Bocconi, Politecnico di Milano e Normale di Pisa sembra esserci il vuoto! Così non è.
Infine, magari, non sarebbe male evitare di distribuire lauree honoris causa (Vasco, Valentino Rossi, Ligabue ecc...) come se fossero adesivi e spille del PD o di Forza Italia, regalate un pomeriggio spompo di domenica, tanto per racimolare qualche soldo e un po' di celebrità! Altrimenti, poi, il valore che andranno ad acquistare sarà proprio questo: un adesivo da appiccicare al cruscotto dell’auto o una spilla da fissare alla cinghia della tracolla.


Bene o male, alla fine Ligabue qualcosa c’entrava. Chissà se gli arriva il mio pensiero...

lunedì 30 giugno 2014

"Eroi" mondiali

"Paro para o Brasil!", ma una spintarella serve sempre...
Gonzalo Jara prende la rincorsa per il tiro dal dischetto, si dirige verso il pallone e lo calcia alla sinistra del portiere che intuisce senza, però, raggiungere la sfera... Poco male! Il pallone si stamperà sul palo e, dopo aver attraversato la porta, terminerà fuori dallo specchio.
Il Brasile supera il Cile, battendolo ai rigori, durante gli ottavi di finale del Mondiale di casa.

Un Mondiale costato 14 miliardi di dollari (anche se gli oppositori più accaniti parlano di una spesa pari a 46 miliardi); un Mondiale caratterizzato dalle accese proteste nei confronti delle ingenti risorse finanziarie e umane impiegate per il suo allestimento, dove la sfarzosità e il trionfo di colori degli stadi stridono con la povertà del Paese, afflitto da una sperequazione socio-economica ulteriormente rivelata e gridata durante le numerose manifestazioni antecedenti il torneo.
Ma il grido sembra essere un sussurrio nel frastuono dei tamburi, delle trombe, dei coriandoli, dei colori (il grigio non si addice al Brasile e anche i media tendono a sfumare e disperdere le bigie contestazioni presenti appena fuori dagli impianti sportivi).

Tuttavia si sa che il calcio in Brasile (e non solo) è come una religione o uno stile di vita: si può essere in disaccordo, si può contestare, si può minacciare di boicottarlo... Quando, però, Thiago Silva (17 milioni di euro all'anno) passa la palla a Neymar (20 milioni) che salta tre difensori e insacca, il megafono passa dalla critica all'esultanza. E quando Julio Cesar respinge due rigori, osservando il terzo terminare la sua corsa sul montante, decretando così l’eliminazione della formazione andina, l’appellativo che gli viene affibbiato è solenne e automatico: EROE.

E sì che, almeno all'anagrafe, la nazionale carioca un “eroe” ce l’avrebbe già... Quel centravanti possente (e non poteva essere diversamente) che risponde al nome di Hulk! Ma per una sera l’omonimo del verdastro paladino targato Marvel deve lasciare spazio all'agile sosia di Buzz Lightyear, il nuovo “eroe”.
Prima di lui gli “eroi” di Giappone e Corea 2002, gli “eroi” di U.S.A. ’94, gli “eroi” di Messico ’70... E, guardando in casa nostra, non siamo certo da meno con gli “eroi” di Germania 2006, Spagna ’82 e, perché no, Italia ’34 e Francia ’38 (che, data l’età, sono in attesa di beatificazione).

Chissà cosa sarebbe accaduto se il tiro del cileno Pinilla, al 120° minuto, fosse terminato in rete anziché sulla traversa, sancendo la sconfitta della Seleção... Magari staremmo parlando di lutto nazionale, di disperazione, di saudade, di scontri, di insulti... E anche gli eroi tornerebbero ad essere uomini. Uomini come gli otto operai deceduti durante la realizzazione degli stadi.

Ma per quelli, senza scomodare gli eroi, un minuto di silenzio, tra coriandoli e colori, è più che sufficiente.

sabato 17 maggio 2014

Elezioni Europee 2014: tra test e italianomediopatia

Italianomediopatia
Venerdì sera. Più tendente alla notte che alla sera.
Dopo un paio d’ore di “sana” televisione, l’italianomediopatia (patologia assai comune nella nostra amata penisola, il cui sintomo più frequente e manifesto è la vergognosa pigrizia mentale, caratterizzata dall’abuso di programmi televisivi a scarso contenuto culturale, dalla minima assunzione di conoscenza tramite la lettura e da una considerevole dipendenza dal web) continua il suo decorso trascinandomi davanti al PC, per l’ennesima dose di LSD (Lento Stordimento Digitale).
In attesa del “bradiposo” e apatico caricamento del browser (dato che il mio computer è al sicuro dai virus quanto lo è un extracomunitario a un comizio a Pontida ), butto l’occhio su un angolo della scrivania, notando, tra le “cose-che-devo-ricordarmi-di-gettare” un volantino in cui campeggia, a caratteri cubitali, la scritta “BASTA €URO”, proprio sotto al faccione severo e deciso di un candidato alle Europee.

E la parola “Europee” è la medicina che, per una sera, allevia e lenisce i sintomi dell’italianomediopatia. Una scintilla capace di accendere la miccia dell’interesse, per attivare quel quid che non sia svago infruttuoso e controproducente, ma partecipazione utile e vantaggiosa, dandomi la forza di rinunciare alla mia quotidiana dose di LSD.
Così, stappata una birra e data una sbirciata a Facebook (sono in via di guarigione, ma la strada è ancora lunga...), clicco sulla homepage di Google e digito la frase “test elezioni europee 2014”, tanto per verificare, così, alla buona, quale potrebbe essere il mio candidato ideale alla presidenza della Commissione europea e, di conseguenza, i partiti italiani che lo appoggiano.

Tra i vari strumenti di indagine proposti, scelgo un test ideato da Openpolis (http://europee2014.voisietequi.it/), formato da 25 quesiti sui temi più caldi riguardanti l’attività comunitaria, l’influenza della stessa nei vari Stati membri e la cooperazione tra l’Unione Europea e i suoi componenti, fra questioni economiche, politiche, sociali, etiche eccetera.

Ciascuna domanda presenta un incipit, nel quale si riassume brevemente l’argomento trattato, per poi fornire le sei opzioni di risposta (molto favorevole, favorevole, tendenzialmente favorevole, tendenzialmente contrario, contrario, molto contrario), indispensabili per delineare l’orientamento ideologico dell’utente e, quindi, i partiti politici italiani più vicini ad esso.
Prima di ogni risposta, sotto la domanda, è presente un link, “Approfondisci”, che amplia la spiegazione dell’argomento, proponendo le tesi a favore e contro il tema considerato.

Inizialmente, con l’arroganza e la pigrizia dell’italianomediopatico, accentuate dalla birra fresca e dall’ora tarda, mi illudo di poter concludere brevemente e pacificamente il test, senza dover ricorrere agli approfondimenti.
Mi sbaglio. Clamorosamente.
Su 25 quesiti, sono solo 4 le domande cui rispondo senza ricorrere al link suggerito, dovendo, per le restanti 21, documentarmi più profondamente (e, più di qualche volta, nemmeno l’approfondimento e l’esposizione di tesi e antitesi bastano a fugare qualsiasi dubbio).

Terminato il quiz, la domanda sorge spontanea: sono io l’unico asino ignorante che conosce così poco l’Unione Europea, un’istituzione che ricopre un ruolo sempre più fondamentale e determinante circa le sorti del nostro Paese e non solo (dato che le politiche economiche, finanziarie e commerciali dell’UE coinvolgono e condizionano l’intero pianeta)? O la maggior parte di noi vive in una sorta di “beata ignoranza comunitaria”, che tanto “beata” non è?
E se prevalesse la seconda teoria, di chi è la colpa? Di chi non si informa, di chi non informa, di chi deforma o di tutti quanti, con percentuali di responsabilità differenti?

Le incertezze rimangono e ognuno possiede, giustamente, la propria idea che si può condividere o meno. L’unica certezza è che bisogna avere un’idea. E per avere un’idea (e non una “protoidea”, un abbozzo di idea) è necessario documentarsi e interessarsi.
Il mio suggerimento è, dunque, perdere, anzi, impegnare quella mezz’oretta necessaria per svolgere il test proposto da Openpolis, sviluppando la propria “protoidea” e rendendola un’idea a tutti gli effetti, in vista del voto del 25 maggio.

Già questo sarebbe un piccolo ma importante passo verso la consapevolezza e la lotta all’italianomediopatia.

Salute!

domenica 13 aprile 2014

Berlusconi e Dell'Utri: una vita (giudiziaria) insieme

La strana coppia
“Come se non avessi già abbastanza casini, adesso ci si mette pure ’sto imbecille!!”
Penso che, suppergiù, sarebbe potuta essere questa l’esclamazione di Silvio Berlusconi nell'apprendere, dal telegiornale, la notizia della latitanza (in un primo momento) e della cattura (in un secondo momento) dell’amico/collega/senatore Marcello “Giamburrasca” Dell'Utri.
Me lo sarei proprio immaginato, Silvio, alla casa di riposo, intento ad imboccare un vecchio partigiano che, biecamente, lo osserva, masticando malvolentieri le “farfalline” di pasta inzuppate di brodo. E tra un'imbeccata e l’altra, ecco la rivelazione scomoda del giornalista, mentre una “farfallina” sfugge dal cucchiaio dell’innervosito leader di Forza Italia, per “svolazzare”, anzi precipitare sul bavaglio del centenario ospite, subito pronto a richiamare il suo sbadato badante: “Dannazione!! Sta’ più attento, ragazzo!! Ricordati che sei in prova...”

Sì, perché dopo l’udienza sull'istanza di affidamento in prova (appunto) ai servizi sociali, in seguito alla condanna per frode fiscale nel processo sulla compravendita dei diritti tv Mediaset, l’ex Cavaliere dovrà scontare un anno (o, più precisamente, 10 mesi e 15 giorni) di lavoro socialmente utile presso una struttura indicata dal tribunale, evitando, quindi, i temuti arresti domiciliari.
E come se non bastasse, ecco un’altra notizia pronta ad incupire ulteriormente le già grigie giornate primaverili dell’ex Presidente del Consiglio/Italcantieri/Fininvest/Publitalia ’80/Mediaset/Mondadori/Milan/Il Giornale/Popolo della Libertà: Marcello Dell’Utri, l'amico di sempre, scappato in Libano per sfuggire all'impietosa mano della Giustizia!
E in quanto a doti elusive, il senatore palermitano, nonché cofondatore di Forza Italia (parte I), rifugiatosi in Medio Oriente (a suo dire) per problemi di salute, è tutt'altro che cagionevole, risultando, anzi, un imputato arzillo e sgusciante! Infatti, il processo che lo vede coinvolto con la gravissima accusa di concorso esterno in associazione mafiosa sorse addirittura nel lontano 1994, con il primo rinvio a giudizio nel 1996.
Vent'anni di annullamenti, differimenti, condanne, appelli per il medesimo caso giudiziario, con una domanda perennemente sospesa nel vuoto: sarà colpevole oppure no?
Nonostante l’assenza di una risposta, il buon vecchio Marcello ha saputo sguazzare in questo vuoto, continuando comunque a praticare la sua attività lavorativa e politica, e rivestendo il ruolo di deputato, eurodeputato e senatore, sempre tra le fila del centrodestra berlusconiano.

Ed ecco che torniamo a quell'ideale esclamazione citata all'inizio, a quell'immaginario cucchiaio adirato e traballante, a quel fantasioso rimprovero del partigiano centenario... Insomma, a Silvio Berlusconi. Pare, infatti, che anche il "morettiano caimano" sia indirettamente coinvolto nella vicenda, in quanto, secondo i p.m., l’amico Dell’Utri sarebbe stato il ponte di collegamento tra Cosa nostra e il suo entourage nei primi anni dopo la nascita di Forza Italia, agevolando, in tal modo, uno “scambio di favori” politici e non.
E, a dir la verità, ciò non susciterebbe nemmeno troppo stupore, dato che fu proprio Marcello a suggerire a Silvio, nel 1973, l'assunzione di Vittorio Mangano come stalliere presso la villa di Arcore; peccato che il suddetto Mangano si rivelò, poi, un criminale pluriomicida, definito da Paolo Borsellino come una delle "teste di ponte dell'organizzazione mafiosa del Nord Italia".

Insomma, come cantava Loretta Goggi, è proprio il caso di dire: “Maledetta primavera!!!” Anche se, in verità, non c’è una sola stagione in cui Berlusconi non abbia avuto almeno un guaio con la giustizia, nonostante legittimi impedimenti, prescrizioni, proroghe e immunità varie gli abbiano spesso risparmiato il giudizio!

E anche in questo caso, Marcello Dell’Utri, l'amico di sempre, gli fa eco.

sabato 5 aprile 2014

Sessualità e disabilità in "The special need"

Società penosa
Immaginate di aver un amico cui volete molto bene. Costui ha un desiderio che lo assilla continuamente, divenendo, pian piano una sorta di ossessione. Da amici, probabilmente, cerchereste di realizzare questo sogno...
Ora immaginate che l'amico in questione sia un ventinovenne disabile e che il desiderio, covato da tempo, sia quello di trovare l'amore, esplorandone tutti gli aspetti, dal più astratto romanticismo al più pragmatico atto sessuale (e, forse, soprattutto il più pragmatico atto sessuale). Ecco a voi The special need (https://www.youtube.com/watch?v=Tt8D_5jLW3I).

Mercoledì scorso, in occasione della Giornata Mondiale dell'Autismo, è stato proiettato, in alcuni cinema italiani, questo (a mio avviso) stupendo film diretto dall'esordiente Carlo Zoratti; un road movie schietto e poetico, in grado di dar vita a una vera e propria riflessione circa il rapporto che intercorre tra sessualità e disabilità, due parole apparentemente lontanissime e inconciliabili.
Attraverso il viaggio di Enea (ventinovenne autistico) alla ricerca dell'amore e del sesso, coadiuvato dagli amici Alex e Carlo, il film racconta con delicatezza, sensibilità e la giusta dose di spensieratezza e umorismo, un aspetto o, più precisamente, una problematica del nostro tempo, troppo spesso ignorata.
Ovviamente esistono diverse forme di disabilità, alcune molto più gravi e debilitanti di altre; tuttavia, a prescindere dal tipo di handicap, sembra inconcepibile, per la società, che qualsiasi disabile, o diversamente abile (che dir si voglia), possa avvicinarsi al mondo dell'amore e, ancor più specificamente, del sesso, quasi fossero condizioni incompatibili, frangenti della sfera esistenziale da nascondere ai portatori di handicap, ignorando pulsioni e necessità fisiologiche che ogni persona, “normale” o meno, possiede.

The special need (Il bisogno speciale) infrange il tabù. Durante questo viaggio alla ricerca di un'esperienza che possa aiutare Enea (protagonista incredibilmente ironico e brillante, seppur nella sua specialità), anche Carlo e Alex (i due ragazzi “normali” dell'insolito trio) vivranno un'avventura assai intensa, trasformandosi da conducenti a condotti, lasciandosi trasportare dall'amico autistico e intraprendendo con lui un percorso emotivo che, al termine del film, risulterà straordinariamente formativo.
Come detto da Fabio Fazio durante la presentazione del cinedocumentario a Che tempo che fa, di primo acchito, il lungometraggio potrebbe apparire quasi “scandaloso”, proprio per la presunta irriverenza e leggerezza con cui viene affrontato il problema, risultando, invece, un lavoro assai meticoloso, rispettoso e genuino.

Riguardo il rapporto tra sessualità e disabilità, mantenendo sempre ben presenti le diverse gravità di handicap che possono colpire un individuo, trovo che il film riesca a far breccia nelle precettistiche e diffidenti mura della società, considerando, senza vittimismi né ipocrisie, una relazione che non si può più ignorare.
Probabilmente l'opinione e la cultura (specialmente italiane, troppo spesso caratterizzate da contraddizioni fatte di grandi moralismi celanti indicibili nefandezze) non sono ancora pronte o non vogliono tentare di aprire i propri orizzonti, concependo magari delle strutture idonee, in grado di accompagnare il disabile attraverso un percorso di educazione sessuale che gli permetta uno studiato approccio alla questione, culminante in un'eventuale messa in pratica di ciò che ha potuto apprendere, esercitando, di fatto, il suo diritto alla sessualità. Il portatore di handicap, infatti, è una persona, non una sorta di angelo senza genere né pulsioni.
In proposito ricordo un toccante, ma allo stesso tempo energico articolo pubblicato, un paio di anni fa, sul Corriere della sera, che vi invito a leggere (http://invisibili.corriere.it/2012/03/09/il-sesso-dei-disabili-e-labbraccio-di-una-madre/) per poter affrontare l'argomento sotto un punto di vista diverso rispetto alla solita pietosa commiserazione, rispetto al consumato perbenismo, rispetto al logoro concetto per cui finché si tratta di una carezza o di un abbraccio, va bene... Ma se si tratta di sesso, il disabile scompare. Quest'ultimo non è un qualcosa, ma un qualcuno, e penso sarebbe opportuno cominciare a considerarlo come tale.

E il passo compiuto da The special need è proprio in questo senso... Nel senso giusto!

Quindi, buona visione!

domenica 23 marzo 2014

Ruggito o miagolio? Il verso del malcontento

Malcontento venetista: Renzi pensa ad un'eventuale via del dialogo
Bandiere raffiguranti leoni alati garriscono al vento. La prosopopea dell'Indipendensa si sta manifestando nelle piazze venete, dopo i risultati del sondaggio (più che referendum) online, promosso dal gruppo venetista Plebiscito.eu, circa la possibilità di abbandonare l'Italia e i legami politici, istituzionali ed economici con lo Stivale.
Sembra che i favorevoli alla scissione siano stati più di due milioni (anche se per la Questura, alla fine, saranno poco più di 500'000...); esattamente 2'102'969, pari all'89% dei votanti, contro i 257'276 “no” (10,9%), decretando, così, una vittoria schiacciante e indiscussa.
Quindi, si corra verso i confini, si istituiscano delle dogane (perché pare proprio che questa nuova Repubblica veneta sarà la meta più ambita d'Europa: un vero paradiso terrestre, ricco di lavoro, servizi efficienti e prosperità, e privo di tentazioni serpentesche e diaboliche, come corruzione, lavoro “nero”, evasione fiscale e squallidi clientelismi), si crei il nuovo parlamento, si bandisca la “moneta innominabile” (dando vita ad un nuovo conio, più congeniale alla situazione, e che magari richiami questo nuovo benessere, come ad esempio, non so, la “veneta”: una valuta forte e competitiva, che darà del filo da torcere a dollaro e yen!), si restituisca al dialetto la dignità che merita (come accadde per il volgare, che dal XIV secolo in poi cominciò a spodestare il latino)... Insomma, si rinasca, ma da soli!

A parte gli scherzi, l'entusiasmo “dal Garda ridente alla chiara Laguna” (come cantava l'Anonima Magnagati) è tangibile e sotto gli occhi di tutti.
Ma è davvero tutto così semplice e c'è davvero tutta questa eccitazione?
Nonostante il governatore Luca Zaia assicuri che: “Il diritto internazionale ci dà ragione”, pare che, al momento, la Costituzione (e non solo) impedisca la manovra secessionista, con buona pace di indipendentisti, “macroregionisti” e leghisti (sì, perché, per quanto molti definiscano tale sondaggio apolitico e apartitico, è innegabile la correlazione con le ideologie e i propositi di Lega, Liga e il resto dell'armata Brancaleone –alato, ovviamente!–). Per non parlare delle modalità di voto con cui sono stati raggiunti questi risultati: la procedura online, infatti, non pare assicurare la limpidezza e la certezza di “un solo voto per ciascuna persona”, con il fantasma delle identità fittizie e dei “Mario Rossi” di turno sempre dietro l'angolo, rischiando di trasformare il poderoso ruggito in un flebile miagolio (nonostante i promotori abbiano garantito, sul proprio sito, che: “Nei prossimi giorni saranno disponibili tutti i dettagli sui voti, le aree locali, i candidati, i quesiti collaterali.”)

Da cittadino italiano e veneto, non credo che l'indipendenza della regione possa risolvere i problemi economici e sociali dei suoi abitanti, precipitati (come il resto d'Italia) in una crisi dovuta anche alla cattiva gestione delle imprese non solo da parte dello Stato (e dei suoi rappresentanti), ma degli stessi imprenditori, eretti recentemente a nuovi martiri e santi: anime bianche, mosse solo ed esclusivamente dallo spirito di sacrificio e dal rispetto della legge, prede inermi della belva statale e delle sue fauci affilate (altrimenti dette “tasse”).
La speculazione economico-lavorativa operata, negli scorsi decenni, da alcune aziende (anche) nord-orientali ha sicuramente e in parte contribuito ad avviare questo tragico declino.
Inoltre, a livello di diplomazia, trattativa e commercio internazionali, si rischierebbe di sprofondare nell'anonimato e nell'oblio, compromettendo ulteriormente la nostra posizione economica e politica.

Tuttavia, trovo assolutamente sbagliata la scelta dei media italiani di sottovalutare, per non dire ignorare completamente, l'iniziativa indipendentista, sintomo inconfutabile di un malcontento e di una rabbia non indifferenti.
Penso, inoltre, che anche il Governo dovrebbe prendere atto di questi risultati (falsati o meno), considerando la gravità (intesa come "importanza") dell'obiettivo proposto e l'intenso malumore che, al di là del desiderio di autonomia, serpeggia nel Nordest (e non solo), rivalutando una regione che comunque (senza parlare di “Locomotiva d'Italia” ed epiteti vari) ha giocato, bene o male, un ruolo determinante nello sviluppo italiano dal secondo dopoguerra ad oggi.
Ciò non vuol dire, come detto, che i virtuosi si trovano solo in Veneto e che il resto della Penisola è abitato da farabutti e fannulloni, ma credo sia giusto riconoscere anche a questa regione (come alle altre) la dignità che merita, evitando le anacronistiche e surreali idee di divisione, cercando, piuttosto, di remare tutti verso la medesima direzione e facendo sentire (giustamente) la propria voce, con la speranza di ritrovare la rotta migliore.

L'Italia si può risollevare e il leone alato dev'essere un valido alleato, non un ostico concorrente.

mercoledì 19 marzo 2014

Satiricamente moderni: genesi di un genere geniale

L'abito non fa il comico
Se consideriamo i dati presenti in Facebook, la pagina ufficiale di Maurizio Crozza conta (al momento) ben 764'260 seguaci e quella di Vauro Senesi ne conta 334'585; per non parlare di quella di Beppe Grillo che, agevolata sicuramente dalla sua “discesa in campo”, ne ha ben 1'574'911!
Perché questa introduzione? Perché tutti e tre sono accomunati da una caratteristica che, in parte, ne ha favorito il successo: la Satira.
Si direbbe che, per avere così tanti fans, la Satira sia una materia ben conosciuta e masticata dai più.
Ma è davvero così? Oppure essa è apprezzata solo ed esclusivamente perché diverte, mettendo alla gogna uomini ricchi e potenti?
Con questo articolo intendo fugare ogni dubbio (o, perlomeno, i dubbi maggiori) raccontandone, in poche righe, la genesi.

Molto brevemente e a grandi linee, la Satira nacque come genere letterario il cui nome (nonostante si possa subito pensare al disneyano Fil, il satiro dall’aspetto caprino del cartone animato Hercules) deriva dal latino classico lanx satura, ovvero “piatto pieno di macedonia di frutta e legumi” che richiama la natura mista del componimento, fatto di prosa e versi.
Essa si sviluppò (per quanto riguarda il mondo latino, tralasciando dunque la sua esperienza greca) nel II secolo a.C. con il poeta Gaio Lucilio: aristocratico membro di una famiglia ricca e influente, tanto da permettersi il lusso di schernire i viziosi potenti dell’epoca, oltre al lusso (ben più materiale) di gozzovigliare e trastullarsi tutto il giorno (e so che molti studenti universitari, come il sottoscritto, capiscono cosa intendo...)
Tuttavia, questo vero e proprio untouchable dell’antica Roma ebbe anche il merito di rifiutare la lucrosa carriera politica pur di mantenere inalterata la sua “identità morale” (...mentre oggi ci ritroviamo con il senatore Antonio Razzi, quello del "vitaliiiizio"...)
Quindi, stima profonda per il buon vecchio Lucilio, che impiegò buona parte del suo ozio quotidiano nella stesura di questi versi taglienti e beffardi, stilisticamente semplici e lineari, e filosoficamente ispirati ai principi di giustizia, moderazione e magnanimità.
Tali versi furono poi raccolti nei suoi trenta Saturarum libri che richiamano, inequivocabilmente, l’etimologia del termine analizzato.
A differenza della Satira moderna, la quale, tendenzialmente, prende di mira gli esponenti politici, è bene sottolineare come quella luciliana non si diverta a mettere alla berlina solo ed esclusivamente i governanti, ma (in senso più lato) i viziosi... E questo la dice assai lunga sugli sviluppi storici del genere, tanto da rendere “politici” e “viziosi” due parole tragicomicamente interscambiabili! Sì perché, se è vero che anche il geniale Crozza non disdegna imitare individui ricchi e potenti (apparentemente) ai margini dell’esperienza politica italiana (come un Briatore o un Marchionne), è altrettanto innegabile che le persone (per non dire “macchiette”) prese maggiormente di mira dai comici satirici sono i nostri statisti (mi rendo conto che usare la parola “statisti” per descrivere l’imbarazzante ciurmaglia al timone di questo precario Stivale potrebbe causare spasmi, nausea e conati di vomito... Perciò, a quelli che, dopo la lettura delle ultime righe, avessero riscontrato tali sintomi, consiglio dieci minuti di pausa, una limonata calda ed evitare Ballarò per i prossimi 30 giorni).

Riprendendo e tornando indietro di qualche secolo, la tradizione satirica venne portata avanti prima da Orazio, nel 35 a.C., e poi, intorno al 55 d.C., da Persio, autore di 650 esametri sulle problematiche del tempo, i quali si fermarono, però, ad un livello preliminare di denuncia, indice di un’insofferenza tanto lampante quanto incapace di dare una vera e propria svolta ai costumi dell’epoca.
Seguì il satirico per antonomasia: Decimo Giunio Giovenale (per gli amici semplicemente “Giovenale” o anche “Giò” o “Joe”, ma quest’ultimo solo dopo la conquista della Britannia! Pensate se l’ancella, chiamandolo, avesse dovuto dire: “Mio signore, Decimo Giunio Giovenale, la cena è prontaaaaa!!!” si sarebbe tutto freddato! Molto più pratico un: “Ehi Giò! A tavola!”)
Con le sue sedici satire, Giovenale aggiunse alla denuncia una vibrata protesta sociale, smentendo lo stereotipo sapientemente coltivato e propugnato dall’aristocrazia del tempo, secondo cui la ricchezza non era una fortuna, ma un vero e proprio fardello, una disgrazia che aveva colpito gli abbienti del tempo, minando e insidiando la purezza del loro spirito. Beati, dunque, quegli straccioni e pezzenti che sulle loro deperite spalle non avessero dovuto sopportare tale peso!
E il “carico” sostenuto da alcuni fautori della suddetta filosofia non era per nulla indifferente; probabilmente uno di questi, Lucio Anneo Seneca, riusciva a toccarsi gli alluci con la punta del naso, dati i 300'000'000 di sesterzi che gravavano sulla sua schiena! Mentre Catone Uticense giungeva comodamente a sfiorarsi le ginocchia con il mento, se ci basiamo sul suo patrimonio (anche se ben più scarno di quello senechiano!): “solo” 4'000'000 di sesterzi, con una rendita mensile di 18'000 sesterzi (per capirci, lo stipendio di un legionario era di 45 sesterzi al mese!)
In un’epoca di ingente sperequazione socio-economica (sì, perché adesso le cose sono di gran lunga "cambiate", dato che lo stipendio di un alpino, nel primo anno di servizio, è di 850 euro mensili, contro i 13'000 di un parlamentare...), Giovenale volle sfatare questo mito, denunciando come la povertà non fosse affatto un bene e come i ricchi, divenuti tali grazie, probabilmente, a qualche attività illecita, indecorosa e delittuosa (...erano proprio altri tempi...), plagiassero e tenessero buona la plebe, lodandone e “invidiandone” la condizione ben più misera.
Tuttavia, l’indignazione andò a braccetto con l’impotenza, relegando la denuncia di Giovenale alla sola idealizzazione di una società utopistica di stampo ancestrale, priva di disparità; e l’assenza di una coscienza di classe favorì, ovviamente, il fallimento del bramato riscatto sociale, facendo sprofondare le sue ultime satire nella più dolorosa rassegnazione.

Sono passati quasi duemila anni (che non sono proprio noccioline!) dalla redazione dei Saturarum libri, ma ancora oggi, con le dovute distanze (soprattutto intellettuali) di “Seneca” e di “Catone Uticense” il mondo è pieno!
La Satira si è sviluppata e ammodernata, anche se credo continui a perseguire il medesimo fine: ridicolizzare i potenti, smascherarne i vizi, esaltarne i difetti, tentando, attraverso la risata (spesso amara) di invitare lo spettatore, anzi il suddito, alla riflessione.
Nel 2014 non si ha più la scusante dell’assenza di una coscienza sociale e, davanti ai soprusi, l’indignazione e la ribellione (almeno dialettica) sono un diritto, o forse un dovere; poiché, come diceva il vecchio Giò nella Satira V: "Umilia meno battere all’addiaccio i denti, rosicchiare i ripugnanti tozzi di pane gettati ai cani”, che subire le derisioni e le violenze dei potenti; per poi concludere: “E così ve ne state tutti muti, in attesa, col pane pronto, intatto, stretto in pugno. Ha ragione lui [il tiranno] a trattarvi in questo modo. Se puoi sopportare tutto ciò, te lo meriti.”

Come a dire: “Peste colga chi oggi sceglie la via della sottomissione e del più sordido e becero clientelismo!”

venerdì 14 marzo 2014

Frittata di cervelli

Il pifferaio tragico (nuova edizione, vecchio risultato)
La settimana scorsa è cominciata ufficialmente, su Canale 5, la tredicesima edizione del Grande Fratello.
Il programma, dopo un anno di stop, è subito ripartito con punteggi d’ascolto abbastanza rilevanti, toccando, in seconda serata, il 35% di share.
Detto ciò, la mia domanda è la seguente: come fa il Grande Fratello, programma trito e ritrito, dove l’unica novità offerta è data dal ricambio stagionale dei concorrenti, dove non c’è alcun contributo culturale, dove gli inquilini della Casa rappresentano (il più delle volte, per non dire sempre) il peggior stereotipo dell’italiano medio (caratterizzato, a prescindere dal sesso, da un fisico tendenzialmente tonico e palestrato, da una gestione claudicante e confusa della lingua e della sintassi italiana e da un livello di “tamarraggine” in grado di far impallidire il più burino dei “lampadati”) ad avere ancora così tanto successo?
La risposta che mi sono dato tocca tre punti:
  • in primo luogo, la curiosità: “So perfettamente che sarebbe molto meglio afferrare (schifato) il telecomando e premere il tasto off per terminare questa lobotomizzante agonia televisiva, dedicandomi piuttosto alla lettura di un buon libro o di un buon quotidiano; ma voglio rimanere sintonizzato per sentire cos’ha da dire quel tizio nerboruto con cinque piercing e un “I love liberty” tatuato sull’avambraccio… Forse, dato che l’abito non fa il monaco, mi sbalordisce con un’arguta considerazione sullo sfacelo socio-culturale che stiamo vivendo… O, ancora meglio, inizia ad insultare il suo compagno d’avventura, dandogli del "coglione", e magari ci scappa anche qualche spintone e qualche schiaffo!”;
  • in secondo luogo, l’attrazione visiva. “Ragazza tutta curve, bocca carnosa, occhi di ghiaccio, capelli morbidi come la seta che sculetta e starnazza… So che è l’ennesima mercificazione della donna in TV, che non bisogna fermarsi all’aspetto fisico, che la bellezza non è tutto e sarebbe bene pigiare quel benedetto tasto off del telecomando per manifestare, nel mio piccolo, un seppur minimo dissenso… Ma, d’altra parte, guarda che culo che c’ha questa!!!”;
  • in terzo luogo, il dileggio: “I concorrenti non sanno esprimersi, usano vocaboli a caso, magari forzatamente ricercati, sperando forse di impressionare il pubblico (ed effettivamente certe uscite fanno abbastanza impressione…), non sembrano conoscere l’esistenza del congiuntivo e lanciano acuti strilli ogniqualvolta, dalla Casa, vedono inquadrato qualche parente in studio (se poi l’accoppiata è madre-figlia, abbassate il volume al minimo oppure mettete in salvo la cristalleria!)… E vedendo il trionfo dell’ignoranza e della superficialità, mi compiaccio delle quattro cose che so, considerandomi un genietto e commiserando, all’ombra di un ghigno sardonico e saccente, quei poveri dementi. Il loro analfabetismo nutre la mia autostima, nonostante al mondo ci siano cinque miliardi di persone migliori di me… Ma al momento siamo io, il televisore e un buzzurro che mostra il bicipite e dice: “A me la palestra mi fa bene! Penso che è intransigente e penso che mi da (lui l'avrebbe scritto così, senza accento) gioia!”, e in questo momento quei 5 miliardi di persone non mi interessano.”
Ecco, dunque, perché programmi come il Grande Fratello, come Uomini e Donne, come Avanti un altro, come Pomeriggio Cinque hanno tanto successo rispetto ad altre trasmissioni molto più formative e utili come Tv Talk, come Per un pugno di libri, come Sostiene Bollani, come Le storie – Diario italiano o come Passe-partout (delle quali, le ultime due sono state cancellate).
Lo spettatore non ha più voglia di imparare, perché imparare è piacevole ma faticoso; quindi preferisce rimanere a sguazzare nella sua ignoranza, lasciando che pian piano il cervello si atrofizzi, divenendo una poltiglia grigiastra, facile da manipolare e controllare.
Tanto, alla fine, ci saranno sempre dei concorrenti del Grande Fratello che lo faranno sentire intellettualmente superiore ed appagato.
Sempre che questi concorrenti scampino alla nomination! Perché, una volta eliminati, anche lo spettatore dovrà tornare a fare i conti con la realtà…

E lì non c’è televoto che tenga.

martedì 11 marzo 2014

La grande monnezza

Jep Gambardella, il protagonista interpretato da Toni Servillo
È trascorsa una settimana dalla cerimonia degli Academy Awards e vorrei spendere la mia prima considerazione, già accennata sul mio profilo Facebook, circa il recente Premio Oscar La grande bellezza.
Al termine del film ho sentito vari commenti: “Mi aspettavo qualcosa di diverso...”, “Mi aspettavo una critica sociale più feroce...”, “Mi aspettavo un film meno lento...”, “Mi aspettavo maggiori panoramiche su Roma...”, “Mi aspettavo ancora più tette e culi cui facevano, da contraltare, ancora più moralismi e riflessioni...”, eccetera...
Alla luce di ciò, nonostante questo film non abbia certo l’impatto emotivo di un Mediterraneo di Salvatores o di un La vita è bella di Benigni (entrambi assolutamente da vedere!), credo che Sorrentino sia riuscito a dare un tono cinematografico vacuo (nella migliore accezione del termine) ad un ambiente sociale e ad una categoria umana altrettanto vacua (nella peggiore accezione del termine), rappresentando straordinariamente, attraverso la lentezza delle scene e la ricercata superficialità dei dialoghi, proprio quel rumoroso silenzio o quel silenzioso cicaleccio tipico della mondanità borghese.
Uno spazio frivolo e capriccioso, dove tutto risulta essere ovattato; e lo stridente contrasto con la grandezza artistica di Roma antica rende questo spazio fatto di balli, vizi, parolacce e Raffaella Carrà, ancora più misero e volubile.
Il film mi ha impressionato anche perché è costantemente pervaso da una fortissima malinconia, quasi come se i personaggi si rendessero conto della grande bellezza culturale che li circonda e, al contempo, dell’infinita e sciocca monnezza in cui si ritrovano dal punto di vista etico e sociale.
Tanti sconfitti che cercano di insonorizzare e coprire il rimbombo della storia attraverso le feste e i fasti.
Una mia amica ha aggiunto un suo pensiero, affermando che: “L'unica cosa che è mancata nel film è rappresentare quella stessa monnezza in cui si trovano e in cui vogliono anche stare altri strati sociali... Più bassi e altrettanto vuoti...” e mi trovo in completo accordo con lei.
Sorrentino ha voluto rappresentare solo la cosiddetta “Roma bene”, fatta di intellettuali cinici, imprenditori senza scrupoli, aspiranti artisti con “le spalle finanziariamente coperte” e quindi in grado di poter giocare con i propri sogni e con i propri vizi senza ripercussioni troppo gravi sul portafoglio... Insomma, in una parola, gli abbienti.
Ma non dimentichiamo che, in Italia, ci sono persone meno abbienti, per non dire povere, che scelgono il finanziamento, il prestito e, di conseguenza, il debito per poter soddisfare i propri capricci, sottovalutando l’inevitabile contraccolpo economico.
Citando un verso della canzone L’italiano medio degli Articolo 31 (“Quest’anno ho avuto fame, ma per due settimane ho fatto il ricco a Porto Cervo! Che bello!!”), concordo sul fatto che anche gli strati sociali “più bassi” si siano adattati, o cerchino di adattarsi sempre di più a questa grande monnezza, scambiandola per la grande bellezza e alimentando, così, un deleterio processo di lenta autodistruzione.

In conclusione, sono in disaccordo con i detrattori de La grande bellezza di Sorrentino e penso che l’Oscar ricevuto da questo film sia tutt'altro che scandaloso. Ciò che mi scandalizza e che mi preoccupa è la motivazione che potrebbe aver spinto i giurati a premiarlo; vale a dire la perfetta raffigurazione di ciò che è oggi l’Italia: un "paesotto" frivolo, futile, vacuo dove le vere macerie non si trovano nelle arene o negli anfiteatri.


(La strada per l’inferno è lastricata di buoni) Propositi

Eccomi, anzi eccoci!!

Apre ufficialmente i battenti “Il Meteorologo”, un nuovo blog nel quale mi impegnerò a dar voce a pensieri e a idee, sia attraverso parole che attraverso immagini (e spesso e volentieri anche attraverso immagini con parole... Tanto per puntualizzare...).
Il progetto del “Meteorologo” è quello di trattare, talvolta in forma satirica e faceta, talaltra in forma più seria e riflessiva, temi di attualità che, bene o male, coinvolgono e condizionano la nostra quotidianità.
L’obiettivo è quello di poter confrontarmi e interagire con i lettori (sperando che questa categoria non si limiti alla cerchia dei miei consanguinei...), ricevendo giudizi, critiche e osservazioni che possano favorire il pluralismo e lo sviluppo dell’argomento trattato.
E come il comune meteorologo non sempre azzecca le previsioni, annunciando domeniche di sole cocente, per poi scoprire che probabilmente con “sole cocente” intendeva “sole cocente, coperto però da nuvoloni color pece carichi di grandine”, anch'io potrei “sbagliare” le mie previsioni o comunque trovare, nella coscienza e conoscenza dei lettori, antitesi e dissensi che, se ben articolati, possono solo giovare al confronto.

Detto ciò, bando alle ciance! Anzi che le ciance (ma solo quelle utili) abbiano inizio!

Buona lettura!!