martedì 11 marzo 2014

La grande monnezza

Jep Gambardella, il protagonista interpretato da Toni Servillo
È trascorsa una settimana dalla cerimonia degli Academy Awards e vorrei spendere la mia prima considerazione, già accennata sul mio profilo Facebook, circa il recente Premio Oscar La grande bellezza.
Al termine del film ho sentito vari commenti: “Mi aspettavo qualcosa di diverso...”, “Mi aspettavo una critica sociale più feroce...”, “Mi aspettavo un film meno lento...”, “Mi aspettavo maggiori panoramiche su Roma...”, “Mi aspettavo ancora più tette e culi cui facevano, da contraltare, ancora più moralismi e riflessioni...”, eccetera...
Alla luce di ciò, nonostante questo film non abbia certo l’impatto emotivo di un Mediterraneo di Salvatores o di un La vita è bella di Benigni (entrambi assolutamente da vedere!), credo che Sorrentino sia riuscito a dare un tono cinematografico vacuo (nella migliore accezione del termine) ad un ambiente sociale e ad una categoria umana altrettanto vacua (nella peggiore accezione del termine), rappresentando straordinariamente, attraverso la lentezza delle scene e la ricercata superficialità dei dialoghi, proprio quel rumoroso silenzio o quel silenzioso cicaleccio tipico della mondanità borghese.
Uno spazio frivolo e capriccioso, dove tutto risulta essere ovattato; e lo stridente contrasto con la grandezza artistica di Roma antica rende questo spazio fatto di balli, vizi, parolacce e Raffaella Carrà, ancora più misero e volubile.
Il film mi ha impressionato anche perché è costantemente pervaso da una fortissima malinconia, quasi come se i personaggi si rendessero conto della grande bellezza culturale che li circonda e, al contempo, dell’infinita e sciocca monnezza in cui si ritrovano dal punto di vista etico e sociale.
Tanti sconfitti che cercano di insonorizzare e coprire il rimbombo della storia attraverso le feste e i fasti.
Una mia amica ha aggiunto un suo pensiero, affermando che: “L'unica cosa che è mancata nel film è rappresentare quella stessa monnezza in cui si trovano e in cui vogliono anche stare altri strati sociali... Più bassi e altrettanto vuoti...” e mi trovo in completo accordo con lei.
Sorrentino ha voluto rappresentare solo la cosiddetta “Roma bene”, fatta di intellettuali cinici, imprenditori senza scrupoli, aspiranti artisti con “le spalle finanziariamente coperte” e quindi in grado di poter giocare con i propri sogni e con i propri vizi senza ripercussioni troppo gravi sul portafoglio... Insomma, in una parola, gli abbienti.
Ma non dimentichiamo che, in Italia, ci sono persone meno abbienti, per non dire povere, che scelgono il finanziamento, il prestito e, di conseguenza, il debito per poter soddisfare i propri capricci, sottovalutando l’inevitabile contraccolpo economico.
Citando un verso della canzone L’italiano medio degli Articolo 31 (“Quest’anno ho avuto fame, ma per due settimane ho fatto il ricco a Porto Cervo! Che bello!!”), concordo sul fatto che anche gli strati sociali “più bassi” si siano adattati, o cerchino di adattarsi sempre di più a questa grande monnezza, scambiandola per la grande bellezza e alimentando, così, un deleterio processo di lenta autodistruzione.

In conclusione, sono in disaccordo con i detrattori de La grande bellezza di Sorrentino e penso che l’Oscar ricevuto da questo film sia tutt'altro che scandaloso. Ciò che mi scandalizza e che mi preoccupa è la motivazione che potrebbe aver spinto i giurati a premiarlo; vale a dire la perfetta raffigurazione di ciò che è oggi l’Italia: un "paesotto" frivolo, futile, vacuo dove le vere macerie non si trovano nelle arene o negli anfiteatri.


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