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Jep Gambardella, il protagonista interpretato da Toni Servillo |
È
trascorsa una settimana dalla cerimonia degli Academy Awards e vorrei
spendere la mia prima considerazione, già accennata sul mio profilo
Facebook, circa il recente Premio Oscar La
grande bellezza.
Al
termine del film ho sentito vari commenti: “Mi aspettavo qualcosa
di diverso...”, “Mi aspettavo una critica sociale più
feroce...”, “Mi aspettavo un film meno lento...”, “Mi
aspettavo maggiori panoramiche su Roma...”, “Mi aspettavo ancora
più tette e culi cui facevano, da contraltare, ancora più moralismi
e riflessioni...”, eccetera...
Alla
luce di ciò, nonostante questo film non abbia certo l’impatto
emotivo di un Mediterraneo di Salvatores o di un La
vita è bella di Benigni (entrambi assolutamente da
vedere!), credo che Sorrentino sia riuscito a dare un tono
cinematografico vacuo (nella migliore accezione del termine) ad un
ambiente sociale e ad una categoria umana altrettanto vacua (nella
peggiore accezione del termine), rappresentando straordinariamente,
attraverso la lentezza delle scene e la ricercata superficialità dei
dialoghi, proprio quel rumoroso silenzio o quel silenzioso cicaleccio
tipico della mondanità borghese.
Uno
spazio frivolo e capriccioso, dove tutto risulta essere ovattato; e
lo stridente contrasto con la grandezza artistica di Roma antica
rende questo spazio fatto di balli, vizi, parolacce e Raffaella
Carrà, ancora più misero e volubile.
Il
film mi ha impressionato anche perché è costantemente pervaso da
una fortissima malinconia, quasi come se i personaggi si rendessero
conto della grande bellezza culturale che li circonda e, al contempo,
dell’infinita e sciocca monnezza in cui si
ritrovano dal punto di vista etico e sociale.
Tanti
sconfitti che cercano di insonorizzare e coprire il rimbombo della
storia attraverso le feste e i fasti.
Una
mia amica ha aggiunto un suo pensiero, affermando che: “L'unica
cosa che è mancata nel film è rappresentare quella
stessa monnezza in cui si trovano e in cui vogliono
anche stare altri strati sociali... Più bassi e altrettanto
vuoti...” e mi trovo in completo accordo con lei.
Sorrentino
ha voluto rappresentare solo la cosiddetta “Roma bene”, fatta di
intellettuali cinici, imprenditori senza scrupoli, aspiranti artisti
con “le spalle finanziariamente coperte” e quindi in grado di
poter giocare con i propri sogni e con i propri vizi senza
ripercussioni troppo gravi sul portafoglio... Insomma, in una parola,
gli abbienti.
Ma
non dimentichiamo che, in Italia, ci sono persone meno abbienti, per
non dire povere, che scelgono il finanziamento, il prestito e, di
conseguenza, il debito per poter soddisfare i propri capricci,
sottovalutando l’inevitabile contraccolpo economico.
Citando
un verso della canzone L’italiano medio degli
Articolo 31 (“Quest’anno ho avuto fame, ma per due settimane ho
fatto il ricco a Porto Cervo! Che bello!!”), concordo sul fatto che
anche gli strati sociali “più bassi” si siano adattati, o
cerchino di adattarsi sempre di più a questa grande monnezza,
scambiandola per la grande bellezza e alimentando, così, un
deleterio processo di lenta autodistruzione.
In
conclusione, sono in disaccordo con i detrattori de La grande
bellezza di Sorrentino e penso che l’Oscar ricevuto da
questo film sia tutt'altro che scandaloso. Ciò che mi scandalizza e
che mi preoccupa è la motivazione che potrebbe aver spinto i giurati
a premiarlo; vale a dire la perfetta raffigurazione di ciò che è
oggi l’Italia: un "paesotto" frivolo, futile, vacuo dove
le vere macerie non si trovano nelle arene o negli anfiteatri.
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