sabato 15 novembre 2014

Ah, quindi non era solo un gobbo geniale...

Se qualche giorno fa qualcuno mi avesse chiesto di descrivere in poche parole (quello che so di) Giacomo Leopardi, avrei risposto pressapoco così: "Ehm...beh, immenso poeta recanatese, genio indiscusso, come indiscusso fu il suo pessimismo, il suo odio verso la Natura (intesa come forza dispotica e spietata) e la sua sfiga che raggiunse l'apice con l'avvento della morte a soli 38 anni. Ah, era pure gobbo."
Fortunatamente Giacomo Leopardi non fu solo uno straordinario letterato, malinconico e curvo. Fu soprattutto un letterato straordinariamente umano.

Ciò emerge da Il giovane favoloso (https://www.youtube.com/watch?v=n3JdpPk1lWs), film biografico di Mario Martone sulla vita di Leopardi.
Innanzitutto, la divisione spaziale operata dal regista, che ha scelto di inquadrare la vita del poeta nelle tre fasi recanatese, fiorentina e napoletana, si è rivelata efficace.
Si comincia con un Leopardi poco più che adolescente, immerso nel celeberrimo studio "matto e disperatissimo", e già afflitto da qualche guaio fisico (l'altrettanto famosa salute cagionevole), con l'aggiunta di ricordi e flashback atti a sottolineare quanto l'infanzia sia stata il suo periodo esistenziale prediletto.
Di conseguenza ecco risaltare il pessimismo, altro aspetto tipicamente leopardiano, dettato dalla soffocante condizione sociale prima ancora che fisica. Infatti, l'oppressione familiare, la mancanza di affetto, il rigido bigottismo genitoriale e la chiusura in quella torre d'avorio che è casa Leopardi, fatta di libri, traduzioni, preghiere e totale alienazione dal mondo esterno (insomma un'istigazione al suicidio!), alimentano la desolazione di Giacomo, agevolandone, probabilmente, il deperimento fisico.
E anzi, pensandoci bene, stando agli scritti e ai documenti raccolti da Martone per la realizzazione del film, è da "baciarsi le mani" che, viste le circostanze, ne sia uscito un formidabile poeta, e non un satanista, un oppiomane o un qualche tipo di serial killer!
Non sono un profondo conoscitore del letterato recanatese, ma trovo che, tra i tanti aspetti già insegnatici a scuola, il film ci racconti anche alcune nuove verità: oltre al Leopardi "conosciuto" fatto di apprendimento fino al dolore agli occhi (che non ho mai provato, ma dev'essere davvero uno schifo), di bruttezza estetica, tra gobba, gracilità, debolezza e difficoltà respiratorie (che in una società come la nostra, fondata troppo spesso sull'apparenza e sull'apparire, ha sempre giocato un ruolo grottescamente affascinante, e quasi cinicamente divertente, nello studio scolastico del poeta) e, infine, di malinconia delle sue odi, ecco un Leopardi "inedito" fatto di sottile ironia e arguto sarcasmo, animato dal desiderio rivoluzionario di mandare tutti a fanculo e ribellarsi alla condizione in cui si trova, per poi essere frenato, tuttavia, da quella salute che a volte è ostacolo reale, altre è pretesto per autocommiserarsi e rimanere in quella stessa situazione, seppur tanto odiata ("Odio questa prudenza, questa vile prudenza! Ci rende impossibile ogni grande azione!!")

Per non parlare della sfera sentimentale, del desiderio di amare ed essere amato, della scelta di sfruttare il suo talento e le sue conoscenze per attrarre la leggendaria Fanny Targioni Tozzetti (che, assieme alla Beatrice dantesca, alla Laura petrarchesca e al 95% delle donne citate nelle canzoni di Max Pezzali, rientra di diritto nel gruppo della "S.C.O.R.D.A.T.E.L.A." ovvero "Sciacquette Che Osarono Rifiutarsi Di Amare Tenebrosi E Luminosi Artisti").
E' nota, infatti, la vicenda della nobildonna fiorentina che (sentimentalmente parlando) non si filò per un solo istante lo speranzoso genio marchigiano, preferendo l'amico figo (tale Antonio Ranieri) e suscitando nello spettatore quella tipica solidarietà che ogni uomo prova verso il proprio "fratello" nel momento in cui quest'ultimo, dopo tentativi e sforzi vani, si vede sventolare in faccia il temuto "due di picche", in favore del compare belloccio (e, a dirla tutta -osservando lo sguardo desolato del bravissimo attore-protagonista Elio Germano-, pur non credendo nell'ateismo leopardiano, tra delusioni sentimentali e una salute da ottantenne, penso che, fra tanti virtuosismi retorici, qualche blasfemia dalla bocca di Giacomino sia uscita più di quanto le carte possano testimoniare).
Insomma, la grande autostima, minata dal consapevole ma discontinuo rifiuto del suo aspetto fisico, e perennemente scossa da un irrefrenabile desiderio "di amore, di entusiasmo, di fuoco, di vita" pervade tutto il film, proponendo un Leopardi fermamente conscio dei proprio mezzi e, al contempo, estremamente fragile e insicuro (un dannato "ossimoro vivente", perché se un artista non è incasinato, non è un artista!)

Infine penso che il merito di Martone sia stato quello di riconsegnarci un autore molto più vicino a noi di quanto i suoi straordinari componimenti ci abbiano mai fatto pensare; un autore giovane, desideroso di amore e di svago (epica la scena in cui si ritrova in una locanda di Napoli, sbronzo, assieme ad alcuni tizi conosciuti poco prima... E, obiettivamente, a chi di noi non è capitato, anche senza aver scritto "Zibaldoni" e "Operette morali" varie?!?). Un uomo prima che un poeta.

Dulcis in fundo, colonna sonora straordinaria! L'accostamento della musica elettronica di Apparat ai paesaggi italiani del primo '800 è curiosamente geniale ed azzeccatissimo.

Godetevelo! Buona Visione!

2 commenti:

  1. Io Leopardi l'ho studiato e approfondito un bel po' e il film di Martone, seppur impeccabile da un punto di vista tecnico e narrativo, mi è risultato fin troppo educato. Un mio amico ha detto: "Questo film accontenterà le professoresse democristiane" e nel cinismo del suo commento mi ritrovo. Si tratta di un film che, a mio parere, non ha osato abbastanza, diventando una conferma di tutto ciò che nei licei si dice del povero Leo. Almeno, questa è stata la mia impressione.

    Seconda cosa: se il senso del film sta nella frase "non attribuite al mio fisico ciò che è responsabilità dell'intelletto!" che Leopardi urla contro gli intellettualoidi che studiano il suo pessimismo, perché calcare così tanto la mano sulle problematiche appunto fisiche? Mi è parso piuttosto contraddittorio come intento narrativo.

    PS: ebbene sì, ti ho velatamente dato della professoressa democristiana.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La mia è un'analisi basata sulle emozioni provate durante la visione del film e sulla conoscenza liceale (e quindi marginale) di Leopardi, e per quanto letto e visto, tutto sommato credo che Martone abbia osato abbastanza. Ovviamente mi sarei entusiasmato ancora di più se non avesse posto alcun freno alla sua narrazione, ma conoscendo solo scolasticamente il poeta, non so fino a che punto il regista si sarebbe potuto spingere senza disattendere le verità storiche e delle fonti. Se poi vuoi dirmi che sarebbe potuto andare oltre, immaginando episodi e situazioni che non sono documentati, ma che (dagli scritti e contestualizzando gli eventi) sarebbero potuti essere assolutamente verosimili, sono d'accordo con te.

      Sul secondo punto, penso che Martone abbia calcato la mano sul lato fisico per trasmettere (e magari mi sbaglio) la sua interpretazione della poetica leopardiana; tipo: Leopardi non è pessimista perché è nato tale, prendendosela immediatamente con la Natura ecc... ma perché la sua condizione fisica (e familiare, aggiungerei) ha influenzato pesantemente il suo pensiero, come una sorta di scintilla che ha poi fatto divampare l'incendio del pessimismo, alimentato anche da altri aspetti esistenziali con cui si è inevitabilmente scontrato nel corso della sua vita (società, amore, fede ecc...)
      E anche la frase citata sarebbe la negazione di ciò che in realtà (inconsciamente) pensa di sé; o magari la rabbia per veder la sua poetica ridotta alla sola "spinta fisica" che, tuttavia, è innegabilmente madre di tutte le altre problematiche espresse in buona parte delle sue opere.

      P.S. Mi vendicherò per la "professoressa democristiana"...

      Elimina