giovedì 11 gennaio 2024

25 anni senza De André, tra malinconia e umorismo


È saltata una corda della chitarra, la terza, il Sol. Così, tesa sulla tastiera della vita, ha deciso, di punto in bianco, di schizzare dal ponte della cassa armonica fino alla paletta. Ha percorso il manico e ha oltrepassato il capotasto con estrema rapidità.

Arricciata e sfibrata, penzolando dalla chiave, non suona più. Si può dire che “il Sol è tramontato”, improvvisamente. Curioso che si sia eclissato proprio oggi, quell’11 gennaio che, 25 anni fa, vide spegnersi un altro sol della musica italiana: Fabrizio De André.

Celebre per le sue canzoni ricche di poesia, con i testi spesso accompagnati da arpeggi delicati, il cantautore genovese, tra onirico e reale, ha saputo raccontare la società con melodiosa delicatezza, senza tuttavia risparmiarle critiche anche pungenti. 

Pensando a De André, la prima caratteristica che balza all’orecchio è forse quella malinconia, più o meno accentuata, che pervade la maggior parte della sua discografia. Probabilmente favorita dai temi affrontati, questa sorta di amarezza esistenziale, a volte solo accennata, altre assai presente, permea molti dei suoi brani: da Via del Campo a La guerra di Piero, passando per La canzone di Marinella, Un blasfemo, La ballata di Michè e Amore che vieni, amore che vai, solo per citarne alcuni.

Ovviamente sarebbe riduttivo e ingiusto limitare il genio e il ricordo di Fabrizio De André entro le anguste mura della malinconia, pur essendo una malinconia che non scade nella tetraggine ma che anzi ambisce al riscatto e al ritrovamento della felicità perduta.

Ad abbattere queste pareti ci pensano, quindi, l’umorismo e la verve, a tratti satirica, che condiscono alcuni dei più celebri pezzi dell’artista genovese.

Senza dubbio, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, scritta con il suo amico e sodale Paolo Villaggio, è una canzone spiccatamente comica. Il testo ridicolizza il re dei Franchi ma, metaforicamente, schernisce la figura del potente di ogni epoca. Satireggia, infatti, sull’arroganza del monarca e sui costumi che, pur ambientati nel secolo VIII d.C., possono essere tranquillamente declinati nell’Italia del secondo Novecento.

Tornato dalla guerra, Carlo Martello seduce una ragazza che, alla fine del rapporto sessuale, chiede al sovrano di venir pagata per essersi concessa.

Brontolando e lamentandosi per il prezzo troppo elevato, il re sale lesto in sella per dileguarsi, evitando di saldare il debito, in un divertente contrasto tra il suo eroismo epico, legato alla vittoria di Poitiers, e la sua innegabile cialtroneria.

A proposito di satira civile, pezzi memorabili restano:

  • Il gorilla, dove la scimmia, fuggita dalla gabbia, "ristabilisce" inconsapevolmente la giustizia sociale, violentando, in preda ai suoi istinti animaleschi, un pessimo giudice. Il magistrato «il giorno prima come ad un pollo / con una sentenza un po' originale / aveva fatto tagliare il collo» a un imputato probabilmente innocente;
  • Bocca di Rosa, storia della ragazza che sconvolse il paesino di Sant’Ilario per il suo stile libertino, scatenando l’ira delle concittadine. Uno spaccato di perbenismo e ipocrisia che si conclude, data la stizzita insistenza delle comari, con l’allontanamento della giovane donna dalla comunità;
  • Don Raffaè, in cui De André, dando voce al brigadiere Pasquale Cafiero, denuncia la problematica situazione delle carceri italiane e la connivenza tra Stato e criminalità organizzata. Brillante, in questo caso, l’espediente narrativo dell’autore genovese che, attraverso le parole e gli atteggiamenti servizievoli del brigadiere corrotto, tratteggia la vita agiata che il camorrista Don Raffaè conduce in prigione, sottolineando il potere esercitato dal boss anche al di fuori delle mura carcerarie.

In De André il sorriso è spesso amaro, non c’è dubbio! Ma proprio grazie al suo umorismo ironico e satirico, che ben si sposa con l’indole malinconica, l’artista genovese canta la società con estrema efficacia, fuori dallo spazio e dal tempo.

E quel “sol”, che dopo una fredda notte del 1999 non sarebbe più risorto, sembra risplendere ogni giorno nella sua poesia e nelle sue canzoni, con la speranza che queste non tramontino mai.


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