lunedì 27 febbraio 2017

Eutanasia: un fenomeno attuale, ma ancora poco conosciuto e mal disciplinato

Talvolta il destino o Dio o la natura, secondo la visione di ciascuno, possono catapultare l’essere umano in una condizione fisica e psichica tale da non permettergli più di proseguire la sua esistenza serenamente e dignitosamente, tale da fargli balenare nella mente l’idea per cui un determinato tipo di vita non è vita e quindi non vale la pena di essere vissuta, tale da fargli desiderare la morte. Lo stesso Seneca scrisse a Lucilio: “Non rinuncerò alla vecchiezza se essa mi lascerà intero a me stesso, dico intero nella parte migliore; ma se comincerà a scuotere la mia mente, a schiantarne delle parti, se mi lascerà non la vera vita, ma solo una forza animatrice di vitalità organica, senz’altro me ne uscirò da quell’edificio interiormente viziato e destinato a rovinare. Non cercherò con la morte di fuggire una malattia purché si tratti di una malattia da cui possa guarire e il mio intelletto non venga deteriorato. Non volgerò le mani contro me stesso per fuggire il dolore: in questo caso darsi la morte significa essere vinti. Ma quando saprò di dover soffrire condannato a un dolore senza fine, allora uscirò dalla vita non per fuggire il dolore, ma perché esso sarà d’impedimento a tutte quelle cose che costituiscono la ragione di vivere.
Spesso in queste drammatiche situazioni si giunge, purtroppo, ad un punto in cui parenti, coniugi e amici (vale a dire quelle figure che abitualmente ispirano conforto, fiducia e amore) non sono più in grado di risollevare lo spirito e ridonare la gioia di vivere a persone gravemente malate, costrette perennemente a letto, incapaci di badare a se stesse e di possedere anche una minima autonomia; non è raro che queste stesse persone siano obbligate a vivere con l’ausilio di macchine ed apparecchi che permettono loro di sopravvivere, fornendo nutrizione, idratazione e ventilazione artificiali, come polmoni d’acciaio o sondini naso-gastrici; e non è raro che queste stesse persone versino in una condizione di immobilità e incapacità talmente gravi da far desiderare loro di morire senza che possano, tuttavia, procedere all’atto materiale del suicidio.
Ed è qui che si invoca la pietà, che si esige il rispetto della propria dignità (così fortemente tutelata dal capo I della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e in particolar modo dall’art.1 della Carta stessa) e che si chiede, tristemente, l’aiuto di “una mano amica” per ricevere la dose letale di morfina o per spegnere il macchinario vitale, uscendo (come scrisse lucidamente il filosofo romano nel I secolo d.C.) “da quell’edificio interiormente viziato e destinato a rovinare”.
Come agire, dunque, in queste situazioni? Cosa fare nei casi in cui un individuo gravemente malato, lacerato da sofferenze insopportabili sia a livello fisico che psichico, ma incapace di suicidarsi, desideri, piuttosto che continuare a vivere una vita per lui non più decorosa, ricevere una morte dignitosa attraverso mezzi giuridicamente leciti?
Qui fa il suo ingresso il biodiritto, quel ramo giuridico definito da Scarpelli come il diritto relativo ai fenomeni della vita organica del corpo, della generazione, dello sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia e della morte; e la disciplina del fine-vita (così come molti altri ambiti della bioetica e della biomedicina) rientra pienamente in questo settore. Vivendo in uno stato di diritto, in cui le leggi regolano e normalizzano la vita di ciascuno, con lo scopo di tutelare i diritti e far rispettare i doveri di ogni cittadino, è bene essere informati sul modo in cui l’ordinamento italiano disciplina il delicato tema del fine-vita.
Considerando la fondamentale importanza e prevalenza gerarchica della Costituzione su qualsiasi altro tipo di legge ordinaria partorita dal Parlamento, e richiamando in particolar modo il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Carta costituzionale (per cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” e per cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” – come nel caso dei vaccini obbligatori – e ancora “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”), la disciplina delle situazioni di fine-vita risulta essere ancora troppo oscura e confusa, violando talvolta principi imprescindibili come l’eguaglianza (tutelata dall’art.3 della Costituzione), la ragionevolezza e la non-contraddizione delle norme.
Dopo casi giuridicamente rilevanti e mediaticamente clamorosi come i vari Welby, Nuvoli ed Englaro, capaci di scuotere dal torpore dell’indifferenza sia le maggiori rappresentanze laiche e politiche che quelle religiose, il Legislatore italiano ha provato a fare un po’ d’ordine dando vita ad un disegno di legge (intitolato “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”, ma meglio conosciuto come ddl Calabrò, bocciato e abbandonato dal Parlamento al termine dell'ultimo governo Berlusconi) incapace, tuttavia, di disciplinare efficacemente questo tema assai delicato (direttamente collegato alle dichiarazioni –prima direttive– anticipate di trattamento da esso regolate), ma riuscendo comunque nell’intento di fissare dei paletti ben precisi circa le pratiche vietate e penalmente perseguibili nel caso in cui il paziente infermo avesse invocato l’eutanasia nelle forme dell’assistenza al suicidio e dell’omicidio del consenziente (come dimostra l’art.1, lettera c del suddetto progetto di legge).
Infatti esistono sostanzialmente tre modi attraverso i quali un malato, affetto da patologie gravi e non più sopportabili che ad esempio possono colpire il sistema nervoso (e quindi anche la mobilità), può ottenere ciò che per lui è liberazione tramite la morte:
1. il rifiuto, qualora ne sia sottoposto, dei trattamenti sanitari vitali (nutrizione, idratazione e respirazione artificiali);
2. l’assistenza al suicidio;
3. l’omicidio del consenziente.
Tuttavia, a differenza del primo metodo, ritenuto essenzialmente legittimo ed anzi tutelato dallo strumento giuridico più rigido e sicuro possibile (la Costituzione, ex articolo 32), gli altri due, come detto, non solo non sono tutelati dall’ordinamento, ma anzi sono puniti attraverso lo strumento più coercitivo e repressivo possibile qual è la sanzione penale: assistenza al suicidio e omicidio del consenziente sono infatti puniti con la reclusione, come espressamente previsto dagli articoli 580 e 579 del nostro codice penale.
Inoltre, ricercando una disperata difesa assoluta della vita (e, per certi versi, folle nel tentare di azzerare l’autodeterminazione e il volere del paziente in favore di un’esistenza forzata, rendendolo così un mero “strumento” utile a preservare un bene astratto com’è la vita), il ddl Calabrò prevede anche un’incomprensibile riduzione del primo metodo, affermando all’art.3, comma 5 che “alimentazione e idratazione [...] devono essere mantenute fino al termine della vita” e che “non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”, sostenendo implicitamente come esse non siano quindi considerate trattamenti sanitari (e quindi beni disponibili, soggetti ad un eventuale rifiuto del paziente, come evidenzia l’art.32 Cost.), bensì azioni fisiologicamente dovute che il malato deve subire fino a che un medico non decreterà un eventuale accanimento diagnostico-terapeutico (come indica l’art.16 del Codice di deontologia medica).
L’autodeterminazione del paziente risulta così ulteriormente ristretta, e nonostante la delicatezza e il carattere indubbiamente etico e personalissimo della scelta riguardo la prosecuzione della propria vita, tale legge sembra cedere questa stessa scelta ad una figura terza (il medico), sicuramente preparata nel settore, ma altrettanto sicuramente dotata di una morale e di una concezione della vita del tutto personale e spesso diversa da quella del malato in questione.
Qualche domanda sorge spontanea: perché un paziente che ha scelto come vivere, non può scegliere come morire, soprattutto in casi di estrema sofferenza e dolore? Perché si tutela così fortemente la vita, a prescindere da come viene vissuta e dalla volontà del malato di continuare o meno a viverla? Perché, ai sensi del ddl Calabrò, un paziente, la cui vita è legata ad un respiratore artificiale, può scegliere ed ha il diritto di morire chiedendo lo spegnimento di tale macchina, mentre un altro paziente, la cui vita è appesa ad un alimentatore mediante sondino naso-gastrico oppure è immobilizzato a causa di una grave malattia che, tuttavia, non lo obbliga a respirare tramite un ventilatore meccanico, non può scegliere di morire o farsi aiutare a morire, ed anzi ha il dovere di rimanere in vita? Su cosa si basa questa palese violazione dei principi di eguaglianza e libertà personale, sanciti dagli articoli 3 e 13, comma 1 della nostra Costituzione?
Le risposte date sino ad ora sono tre e contraddistinguono i cosiddetti modelli a tendenza impositiva (o “chiusi”), solitamente caratterizzati dalla tutela giuridica del diritto del paziente al rifiuto dei trattamenti sanitari (anche se su questo punto l’Italia, con il ddl Calabrò, dimostra di essere più “chiusa” di altri sistemi, come quello statunitense o britannico, in cui idratazione e nutrizione artificiali sono trattamenti sanitari rifiutabili) e dal divieto penale dell’omicidio del consenziente e dell’assistenza al suicidio.
Queste tre risposte, come ampiamente argomentato da C. Casonato in Introduzione al biodiritto, sono: 1) il carattere sacro ed indisponibile della vita, per cui tale bene appartiene a Dio, e solo Dio e non un medico o un individuo qualsiasi può sottrarlo al paziente (e nemmeno il paziente stesso); 2) il pericolo che la classe medica, abitualmente identificata come curatrice di malattie e “portatrice di vita”, possa essere etichettata come “donatrice di morte”, in quanto spetterebbe ad essa il gravoso compito di prescrivere o iniettare al malato la sostanza letale da lui richiesta per passare a miglior vita; 3) il fenomeno della slippery slope, la cosiddetta “china scivolosa”, secondo cui un’eventuale legittimazione dell’eutanasia attiva diretta ed indiretta (omicidio del consenziente e suicidio assistito) porterebbe ad un inarrestabile abuso delle pratiche eutanasiche, prospettando scenari apocalittici nei quali il paziente sarebbe “invitato a richiedere la morte” e “togliere il disturbo” in quanto la legge gliene darebbe la facoltà; per non parlare degli altrettanto catastrofici scenari radenti le pratiche eugenetiche della Germania nazista con tutte le loro terribili conseguenze.
Ciò che è inspiegabile è il perché questi dubbi non siano emersi anche in materia di diritto al rifiuto, considerato legittimo e recante gli stessi effetti dell’eutanasia attiva, vale a dire la morte del paziente.
Inoltre la comparazione e l’esperienza giuridica di ordinamenti stranieri appartenenti al cosiddetto modello a tendenza permissiva (o “aperto”) ci dimostrano: 1) che la prima risposta data dal modello impositivo riguardo la sacralità della vita può valere per un credente, ma qualora un paziente non fosse osservante si violerebbe il suo diritto all’autodeterminazione (configgendo anche con il carattere laico, secolare e liberale della nostra Costituzione, e con l’art.7, comma 1 della stessa); 2) che i dubbi e i timori verso i medici dovrebbero essere presenti anche nel caso in cui si dovesse spegnere un respiratore artificiale (problema che nessuno si è, giustamente, posto, in quanto, oltre alla legge, esiste quel codice di deontologia medica sopraccitato pronto non solo a tutelare il malato, ma anche a vigilare sul corretto operato dei suoi sottoposti); 3) che l’eutanasia attiva non sarebbe abbandonata a se stessa e al libero arbitrio di medici, pazienti e persone ad essi collegate, ma sarebbe disciplinata e condizionata da regole tanto rigide quanto efficaci, scongiurando qualsiasi tipo di abuso.
Basti pensare all’Olanda, dotata di un modello tendenzialmente permissivo, in cui omicidio del consenziente e assistenza al suicidio sono reati ben identificati e severamente puniti dalla legge; ma tale punibilità diviene impunibilità in presenza di 6 requisiti ben precisi, fissati dalla legge n.194 del 19 aprile 2001, molto discussa ma alla fine accettata di buon grado dalla popolazione nederlandese:
a) il paziente deve aver formulato la richiesta in modo libero e ben meditato;
b) il paziente dev’essere afflitto da una sofferenza ineludibile ed insopportabile;
c) il medico deve informare il paziente circa la situazione in cui egli si trova e circa le sue prospettive;
d) medico e paziente, in virtù dell’alleanza terapeutica che tra essi vige, devono assicurarsi che non esista alcuna, seppur minima, possibilità di miglioramento delle condizioni del malato, e che non esista alcuna alternativa soddisfacente per il malato;
e) un medico terzo ed indipendente dovrà visitare accuratamente il malato e dare lo stesso responso formulato dal medico sopraccitato, in forma scritta e seguendo i punti a, b, c e d;
f) il medico deve porre fine alla vita del paziente o assisterlo al suicidio in modo scrupoloso dal punto di vista medico.
Per concludere, come appena visto, le soluzioni alla problematica dell’eutanasia e della sua regolamentazione ci sono. Probabilmente la situazione socio-culturale italiana non ci permette ancora di approvare in tempi rapidi una legge che disciplini il fine-vita (com’è accaduto in Olanda, in Belgio, in Lussemburgo, in Svizzera o nello Stato dell’Oregon), affinché casi di omicidi del consenziente e suicidi assistiti per così dire “clandestini” (caratterizzati da morti orribili, dovute magari a miscele errate o ad una mancata sedazione preventiva del paziente) non si verifichino più.

La cosa importante non è tutelare o meno un diritto all’eutanasia attiva, ma tornare a parlarne, a confrontarsi e a dialogare, promuovendo il pluralismo culturale ed evitando, così, che persone già gravemente malate siano ulteriormente afflitte dal dubbio causato dall’oscurità, dall’irragionevolezza e dalle contraddizioni legislative.

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