Mi capita tra le mani un libro logoro e acciaccato. Il tempo grava visibilmente sulla copertina strappata, sul dorso polveroso, sulle pagine ingiallite che faticano a stare ancora insieme.
È un’antologia dedicata al poeta Carlo Porta, edita nel 1913; ma ciò che mi colpisce è la collana di appartenenza: Classici del ridere.
“Classici del ridere?”
Con la pigrizia del pollice che scorre mollemente sul display del telefono, cerco, tra un’informazione e l’altra, qualche notizia in più sull’editore, A.F.F.
L’attenzione indolente si fa curiosità quasi morbosa quando leggo di un uomo che nel novembre del 1938 spiccò il volo dalla torre Ghirlandina, a Modena, urlando “Italia! Italia! Italia!” e scrivendo inesorabilmente la parola “Fine” nel libro della propria vita. È un epilogo tanto doloroso quanto sensazionale che termina 60 anni di prestigiosi successi e frustranti insuccessi, di immense gioie e profonde delusioni.
E pare che proprio dalla più cocente di queste ultime fosse nata, nel protagonista, la volontà di giungere a una conclusione estrema, dimostrativa, per lasciare il segno nella storia dell’Italia fascista, sprofondata nel baratro delle leggi razziali.
C’è un’opera dello scrittore e attore contemporaneo Moni Ovadia che si intitola L’ebreo che ride. Ma, prima di lui, di Ovadia dico, ci fu un altro ebreo che, nel solco della migliore tradizione yddish, utilizzò la risata e l’umorismo a mo’ di bussola per orientarsi nella vita: fu proprio l’uomo della Ghirlandina, l’editore Angelo Fortunato Formíggini.
“Modenese di sette cotte, e perciò italiano sette volte” come diceva di sé, Formíggini fu un giurista (si laureò, nel 1901, con una tesi intitolata La donna nella Thorà in raffronto con il Manava-Dharma-Sastra: contributo storico giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita) e un filosofo (si laureò nuovamente, nel 1907, con un’altra tesi intitolata Filosofia del ridere).Nel 1908, in barba alla formazione forense, decise di fondare la casa editrice A.F.F., il cui motto, che campeggiava sul logo impresso nelle copertine, era Amor et labor vitast (amore e lavoro sono vita).
A questo “slogan” si accostava una puntualizzazione, spesso inserita all’interno dei suoi libri: Risus quoque vitast, anche la risata è vita! Come, infatti, scrisse: “Nulla è più umano del ridere, nulla è più fautore di affratellamento in questo mondo di cani ringhiosi”.
Tra gli zampilli che esplosero da questo vulcano di idee e di progetti editoriali, emerge proprio la collana Classici del ridere, cui appartiene anche l’antologia sul Porta: 105 opere, pubblicate tra il 1913 e il 1938, scelte dall’editore per il loro carattere umoristico al fine di divertire, ma anche di favorire, mediante la risata, la riflessione dei lettori su temi spinosi o licenziosi. Una scintilla di buon umore in un’epoca, tra la Grande Guerra e la dittatura fascista, tutt’altro che luminosa.
La collana è popolata di mostri sacri della letteratura: da Petronio e Apuleio a Oscar Wilde e Trilussa, passando per Boccaccio e Rabelais o per autori insospettabili (umoristicamente parlando) come Edgar Allan Poe e Victor Hugo.
Ne scrivo oggi, in occasione del 145° anniversario della sua nascita, per accendere la luce sulla vita di Formíggini, una vera e propria avventura tutta da riscoprire! Al netto dei toni più scuri e più chiari che colorano l’esperienza di ciascun individuo, Formíggini fu indubbiamente un intellettuale brillante, tanto celebre e influente a inizio Novecento quanto dimenticato e taciuto dopo il suicidio: un gesto che incarnò la delusione straziante verso la discriminazione razziale e verso quel partito fascista che, in un primo momento, lo stesso editore aveva appoggiato.Editorialmente, rispetto ad altri colleghi come Mondadori e Rizzoli (solo per citare un paio di suoi colleghi coevi), Formíggini fu un vero e proprio sognatore, divertente e divertito. “Uno dei meno noiosi uomini del suo tempo” (come recita un'epigrafe a Modena, da lui stesso predisposta) che volle investire sul bello, sullo spiritoso e soprattutto sull'utile socio-culturale prima ancora che sull’utile economico.
Un imprenditore di cui anche oggi, vedendo certe pubblicazioni di case editrici rinomate e di spessore, attente più alla celebrità degli autori che alla qualità dei contenuti, avremmo ancora dannatamente bisogno: Risus adhuc vitast (la risata è ancora vita).
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