domenica 4 febbraio 2018

"Sono tornato"...e pare che a molti l'idea non dispiaccia


A un mese esatto dalle elezioni, molti si chiedono quale sia l'uomo giusto per l'Italia, il candidato meritevole di fiducia per poter governare questa "nave sanza nocchiere in gran tempesta", come scriveva Dante. E in un'epoca di tempesta, appunto, tra la pioggia scrosciante e i lampi accecanti, non sono pochi coloro che corrono con la memoria (scolastica più che storica) a quel Ventennio in cui (sono soliti ripetere) la disoccupazione non esisteva e i treni arrivavano in orario (a quanto pare, anche quelli per la Polonia), invocando, quale timoniere, il nome di Benito Mussolini.
Alla luce di ciò, cosa accadrebbe se il Duce riapparisse? Come reagirebbero gli italiani? Coloro che lo ricordano con nostalgia, sarebbero davvero entusiasti di un ritorno a quel tipo di rigore?
A tal proposito, lo scorso giovedì è uscita nelle sale l'ultima fatica cinematografica del regista Luca Miniero, intitolata Sono tornato e incentrata proprio sulla figura di Mussolini. Il film è un remake del lungometraggio tedesco Lui è tornato, diretto nel 2015 da David Wnendt e ispirato all'omonimo bestseller di Timur Vermes, in cui l'autore ipotizza il ritorno sulla Terra, nel XXI secolo, di Adolf Hitler.
Recuperando in toto la trama del film di Wnendt, salvo contestualizzarla a Roma (e non a Berlino) nel 2017, Miniero, attraverso la realizzazione di una specie di "commedia amara", si propone di sottolineare come la figura del Duce e, soprattutto, le sue idee troverebbero un certo consenso nell'Italia di oggi.
Ed ecco, quindi, LVI (ben interpretato da Massimo Popolizio) precipitare, come un asteroide, in Piazza Vittorio Emanuele II, con la divisa militare comprensiva di medaglie e lustrini, il fez nero corredato di aquila imperiale e cordoncino, e i piedi ancora legati (chiaro riferimento all'esposizione del suo cadavere in Piazzale Loreto nel 1945), mentre viene raggiunto da alcuni bambini di colore che, nonostante l'accento marcatamente romanesco, gli fanno supporre una ribellione e una "controffensiva" da parte delle colonie africane. 
L'incontro con l'aspirante regista Andrea (intrappolato nella staticità espressiva di Frank Matano) che, per la maggior parte del film, lo ritiene semplicemente un ottimo imitatore satirico grazie al quale poter realizzare un documentario, consente al dittatore di intraprendere, assieme al giovane cineasta, un viaggio lungo lo Stivale, per ascoltare le considerazioni del popolo.
Evidenziate le perplessità mussoliniane riguardanti la tecnologia e alcune conquiste sociali (dal multiculturalismo al processo di legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali), e riconsegnato allo spettatore un Mussolini che oscilla tra la buffa macchietta e l'intransigente condottiero (anche se il primo aspetto prevale sul secondo), il Duce si confronta con gli italiani del terzo millennio, delusi dalla classe politica dirigente, intimiditi dallo straniero,  preoccupati per la crisi economica e nostalgici di quel Ventennio visto da molti come un periodo di ordine sociale più che di oppressione.
Ed è cavalcando questa ondata di malcontento (cui molti politicanti ancora oggi si ispirano...) che balena nella mente del leader fascista l'idea di sfruttare il disagio sociale per riacquistare il potere, fomentando l'odio nei confronti del diverso e accogliendo di buon grado le riflessioni di alcune persone (non attori, bensì cittadini realmente intervistati) secondo le quali la soluzione sarebbe un ritorno ad una sorta di dittatura, al fine di responsabilizzare un unico individuo. Nell'ottica di questi politologi ed economisti improvvisati, ciò scongiurerebbe la spartizione del potere e diminuirebbe i relativi costi della politica.
Riuscirà il tiranno di Predappio a riconquistare la fiducia e la stima degli italiani (a patto che le abbia già avute durante il suo regime novecentesco)? O il suo destino sarà nuovamente quello di penzolare a testa in giù, al di sopra di una folla euforica? La risposta è nelle sale cinematografiche!
Tuttavia, un altro tipo di risposta può essere già dato: a prescindere dalla convinzione e dalla serietà con cui, durante il film, il Duce viene acclamato e celebrato a suon di saluti romani e teneri selfie,  il lungometraggio di Miniero ci riconsegna un'Italia confusa, spaccata, disincantata e a tratti disinteressata, critica nei confronti degli intrighi di Palazzo, ma al contempo incapace di reagire, preferendo colpevolizzare le minoranze e auspicando, tra il solenne e il faceto, il ritorno di una figura autorevole, finanche dispotica, ma amministrativamente efficiente.
Perché se è vero che, come diceva il Poeta, l'Italia è un Paese "sanza nocchiere", e anche vero che, come diceva Pier Paolo Pasolini, l'Italia è un "Paese senza memoria".
E, in entrambi i casi, il risultato è deleterio.

Buona visione!

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