domenica 28 maggio 2017

G7 a Taormina: le pagelle semiserie del summit



Ieri si è concluso il G7 a Taormina, ovvero l’incontro tra le sette principali economie mondiali, per discutere dei cinque maggiori problemi che attualmente attanagliano il pianeta: il cambiamento climatico, il terrorismo, l’immigrazione, il commercio internazionale e se è più corretto dire “arancino” o “arancina”.
Assodato che la discussione sull’ultimo tema ha assorbito la maggior parte del tempo (perché dài, a gente che ha il mondo ai propri piedi, di orsi polari, psicopatici integralisti e morti di fame interessa relativamente), ecco, per chi non avesse avuto l’occasione di seguire il summit, le pagelle riassuntive delle prestazioni fornite dai protagonisti del vertice.

Theresa May (Primo Ministro del Regno Unito – Partito Conservatore) – voto 6: una volta appurata l’assenza di qualsiasi parentela con il più famoso chitarrista dei Queen, Theresa May perde completamente di interesse anche solo per gli autografi. Il fatto che sia l’unica donna tra i sette leader coinvolti, la dice lunga sul livello di civiltà raggiunto dall’umanità. Alla fine palesa tutta la sua indecisione riguardo la Brexit sputando in faccia al presidente della Commissione europea Juncker per poi offrirgli un fazzoletto, il quale, però, zeppo di muco, sancisce definitivamente il suo euroscetticismo.

Justin Trudeau (Primo Ministro del Canada – Partito Liberale) – voto 6,5: nonostante debba la sua celebrità al fatto che sappia sostenersi con le braccia sulla scrivania dell’ufficio più che alle sue effettive competenze politiche, il primo ministro canadese si presenta in sala stampa per trattare i principali temi in agenda, dal multiculturalismo al terrorismo, dall’ambiente alla collaborazione tra Stati, esprimendosi sia in inglese che in francese, ammiccando ovunque e tirandosela da Taormina ad Ottawa. Peccato che, proprio per il fatto di essere il primo ministro del Canada, se lo cagano solo i gabbiani.

Emmanuel Macron (Presidente della Repubblica francese – Partito politico "En Marche!) – voto 7: il neo-presidente della Repubblica coglie l'occasione per sottolineare l'importanza dell'incontro al fine di "evitare di limitare i progressi dell'accordo di Parigi o di mettere in luce disaccordi troppo profondi". A tal proposito, prima del termine del summit, nonostante la proverbiale “puzza sotto il naso” che contraddistingue i leader mondiali (figuriamoci se sono francesi!), vince la sua superbia e, per dimostrare l’interesse transalpino alla questione ambientale, offre a Trump una fetta di cassata; dopodiché, cingendogli il fianco, conclude: “Oltre alla fauna artica, la Francia è sensibile anche alla salvaguardia degli orsi bruni americani, nonostante la loro aggressività e il loro odore piuttosto acre”.

Shinzo Abe (Primo Ministro del Giappone – Partito Liberal Democratico) – voto 7,5: forte dello sviluppo tecnologico del suo Stato (dove il cesso ha più pulsanti del telecomando e ogni volta che defechi è come fare un viaggio sull’Enterprise di Star Trek), il primo ministro giapponese si limita ad ascoltare pacatamente gli altri leader internazionali, domandandosi come facciano Merkel e Macron a non avere manco il bidet. Conclude il soggiorno siciliano addentando un arancino e sentenziando: “Questo sushi fa davvero cagare”. Va premiata l’onestà con cui rivela a Gentiloni di essere finito lì solo perché il software del suo Pokemon Go era andato a puttane.

Angela Merkel (Cancelliera federale della Germania – Unione Cristiano-Democratica) – voto 5,5: panzer tedesco pronto a tramutarsi in “mamma o suocera d’Europa” e viceversa, il Transformer di Berlino sbarca a Taormina con la consapevolezza di chi sa che, ritrovandosi geo-politicamente nel cuore del Vecchio Continente ed economicamente nel portafoglio dello stesso, può fare un po’ quel cazzo che vuole, con un occhio di riguardo per il suo popolo. I toni sono pacati, il pensiero è moderato, lo stile estetico e linguistico è composto da tante “sfumature di grigio”; e nonostante, come il tizio del libro, molti abitanti del Mediterraneo vorrebbero frustarla a dovere (soprattutto i greci), la cancelliera mantiene comunque un notevole consenso anche fuori dai confini tedeschi, chiacchierando un po’ con tutti, senza tuttavia badare a nessuno, perfettamente in linea con la storia politica cristiano-democratica. Rinuncia alla conferenza stampa, strafogandosi di cannoli dal teatro antico fino all’aeroporto, farfugliando qualcosa come: “Mi dispiace, ma è maleducazione parlare con la bocca piena.”

Donald J. Trump (Presidente degli Stati Uniti d’America – Partito Repubblicano) – voto 4: è sicuramente il leader più chiacchierato tra i sette presenti: imprenditore senza scrupoli, donnaiolo dalla capigliatura improbabile, miliardario eccentrico, boss nel settore edile (e non solo), sceso in campo più per garantire i propri interessi che per un effettivo senso civico… Insomma, un personaggio che può essere capito solo se si è italiani. Trump giunge a Taormina con un biglietto da visita niente male: populista, xenofobo, nazionalista, militarista, protezionista, misogino, nonché ideatore del famoso muro lungo il confine con il Messico; insomma, vederlo alla guida della “più grande democrazia del mondo” è come vedere Gandhi alla guida dell’Isis… C’è qualcosa che non va. Ma Donald non si perde d’animo e, attaccando dialetticamente la Germania per le sue politiche commerciali e pensando: “Prima o poi vi bombarderò tutti, a partire dal giapponese che assomiglia un po’ troppo a Kim Jong-un e la cosa non mi piace…”, è l’unico a ribadire con forza il suo scostamento dall’accordo di Parigi sul clima, sostenendo che se non ci sarà più ghiaccio, si limiterà a non bere più mojito. Anche lui non presenzia alla conferenza stampa, giacché al solo pensiero di qualche domanda sullo scandalo del “Russiagate”, le mutande cominciano a puzzargli più di una latrina a Guantànamo.

Paolo Gentiloni (Presidente del Consiglio italiano – Partito Democratico) – voto 6: tutti lo scambiano per il capo-sala o per quello del guardaroba o per quello de: “La toilette è in fondo a destra”. Si capisce essere il premier italiano solo quando prende la parola per quaranta minuti, mentre dalla platea il primo ministro giapponese prova a catturarlo, pensando sia un nuovo esemplare di Pokemon-noia. Con l’entusiasmo e la briosità di uno che è in sala d’attesa per una colonscopia, Gentiloni “apre le danze” sottolineando come la splendida cornice di Taormina possa “aiutare a dare risposte a quello che i cittadini oggi ci chiedono sul terrorismo e la sicurezza innanzitutto”, e sperando in cuor suo che Taormina abbia studiato. Nel tardo pomeriggio di sabato, deluso per non essere riuscito ad avere manco il numero di cellulare di quel figone di Melania Trump, lo sconsolato premier conclude il summit con la consueta vivacità, manifestando una fiducia nel futuro tale da convincere la maggior parte dei giovani presenti ad avviare alcune start-up di corde spesse e cappi belli stretti. Strappa la sufficienza per non essere incappato in una di quelle gaffe che negli ultimi vent’anni ci ha reso celebri agli occhi del mondo.

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