domenica 4 settembre 2016

Charlie Hebdo e il "terremoto all'italiana"

È passato qualche giorno dalla vignetta pubblicata da Charlie Hebdo (la prima, quella intitolata “Terremoto all'italiana”, per capirci) e ho letto davvero di tutto. Ed è stato molto interessante leggere davvero di tutto, perché i pensieri (anche contrastanti) che, come tante navi, hanno solcato l'oceano dell'opinione pubblica verso quell'utopistica isola chiamata “Verità”, sono stati moltissimi. Dallo scoglio dei mezzi di informazione di cui dispongo, ho osservato imponenti galeoni del giornalismo e del panorama intellettuale (tra cui mi ha particolarmente stupito la disapprovazione di Sergio Staino, uno dei più popolari fumettisti satirici italiani, che si è comunque schierato contro la censura della stessa), nonché bagnarole striminzite del commentatore occasionale, lanciarsi all'attacco della rivista francese, condannando quel disegno raffigurante un uomo insanguinato sovrastato dalla scritta “penne al pomodoro”, una donna tumefatta con sopra l'etichetta “penne gratinate” e infine delle macerie stratificate, dalle quali spuntano dei piedi, a mo' di ripieno, con tanto di “pomodoro sanguinolento”, e la didascalia recitante un laconico “lasagne”.
Se dicessi che il primo pensiero non è stato un “ma che cazzo disegnano...?!?!?” sarei un bugiardo. Travolto dalle emozioni (poiché in una società dove ahimè l'apparire conta più dell'essere, anche lo sguardo conta più del pensiero), mi sono un po' indignato: “La Satira, dal II secolo a.C. ad oggi (a tal proposito consiglio il mio articolo sulla sua genesi: http://ilmeteorologo.blogspot.it/2014/03/satiricamente-moderni-genesi-di-un.html), si è sempre occupata dei potenti! Ha sempre messo alla berlina le prevaricazioni delle autorità politiche, economiche, religiose eccetera. Perché accanirsi contro la debolezza di un popolo afflitto da una calamità naturale, quindi da una catastrofe fuori controllo?”
Dopo la reazione impulsiva si è attivato anche il cervello (che ci mette sempre un po' a carburare) e ho provato a ragionare su quel disegno, cercando di individuare la chiave di lettura più vicina a quella forgiata dall'autore. Un po' come avere una serratura davanti al naso e un mazzo di chiavi in mano: tante non entrano neanche nella toppa, altre entrano senza aprirla e una sola spalanca la porta, permettendoci di vedere come stanno le cose.
E alla fine, pensando alla natura della Satira, pensando ai suoi bersagli, ho capito che la mia prima impressione (così come l'impressione di molti miei amici su Facebook, di molti quotidiani, di molti intellettuali), mantenendo la metafora della serratura, è più paragonabile ad un cacciavite che ad una chiave.
Secondo me, infatti, la vignetta, nella sua crudezza, non si è mai proposta di schernire “la debolezza di un popolo afflitto da una calamità naturale”, quanto piuttosto l'irresponsabilità di chi avrebbe dovuto, dall'alto dei suoi poteri, tutelare quelle vite. E paragonare le vittime a delle ipotetiche pietanze con cui lo sciacallaggio politico, imprenditoriale ed edile pasteggerà nei prossimi giorni, settimane, mesi e verosimilmente anni, è davvero geniale, dimostrando che gli obiettivi che la maggior parte dell'opinione pubblica aveva individuato in quei tratti di matita erano (molto probabilmente) gli obiettivi sbagliati.
Disegnare un politico, grassoccio e sudaticcio, in giacca e cravatta, che cena con davanti gli stessi piatti a forma di vittime del sisma, con tanto di bocca sporca di pomodoro/sangue, sarebbe stato molto più diretto e, presumibilmente, non avrebbe avuto l'impatto mediatico e l'ampia disapprovazione che ha effettivamente scatenato; ma, d'altro canto la Satira è anche questo: è provocazione, è schiaffo, è solletico, è aberrazione, è compiacimento, può piacere, può far cagare, ma merita di essere libera e, soprattutto, dimostra come talvolta non sia accessibile a tutti.

Non ci resta altro che continuare a navigare, assicurandoci che il nostro mazzo abbia sempre una chiave in più che una chiave in meno.

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