«Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo per me è il senso dello scrivere».
Questa vera e propria dichiarazione di fede e di amore verso la parola è una delle tante frasi che costellano l’universo aforistico di Ennio Flaiano, di cui oggi ricorre il 51° anniversario della morte.
Giornalista, scrittore e sceneggiatore, Flaiano esprime, nella propria produzione letteraria, il declino della cultura moderna. Intingendo la penna nel sarcasmo, nel grottesco, nella caricatura, racconta la società italiana di metà Novecento, dimostrandosi particolarmente critico verso il mondo borghese.
Ironico e pungente, fa della satira, specialmente sociale, il genere letterario attraverso il quale manifesta, con una certa amarezza, il suo estro brillante, traducendolo in romanzi (con Tempo di uccidere vinse la prima edizione del premio Strega nel 1947) e in sceneggiature (quella di Guardie e ladri, per la regia di Monicelli e Steno, gli valse il premio al festival di Cannes del 1952).
Ne Il satiro e la satira, saggio di Egidio Delli Rocili dedicato all’amicizia tra l’incisore satirico Mino Maccari e lo stesso Flaiano (Arnaud, 1988), l’autore sottolinea come la satira di Flaiano lasci il segno e si mostri ricca, varia, imprevedibile, eppure venata di una sottile malinconia: una sorta di “spleen” che caratterizza tutta la produzione dello scrittore pescarese.
Nel 1973, un anno dopo la morte di Flaiano, viene pubblicata La solitudine del satiro (Rizzoli, 1973): riflessioni, aneddoti, ricordi di un cronista disincantato che osserva la decadenza di Roma e dell’intero Paese, smascherandone le contraddizioni. Un po’ come quando si vede il proprio compagno di giochi nascosto dietro le tende del salotto: gli spuntano i piedi ed è giunto il momento di farglielo notare.Il “game over” di Flaiano si sintetizza nel frammento seguente, tratto proprio da quest’ultima opera postuma; un epigramma che, riletto oggi nell’era dei social network, appare come un iceberg di cui, cinquant’anni fa, si vedeva solo la punta: «Mai epoca fu come questa favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità».