lunedì 30 aprile 2018

"Com'è umano, Lui!": il Berlusconi di Sorrentino, tra coca, mignotte e simbolismo


Un'ora di coca e mignotte, un'ora di Lui, che non è LVI, ma che dall'assiduo utilizzo del pronome personale lungo buona parte della pellicola, a mo' di entità suprema e innominabile, individua l'imprenditore di Arcore al culmine della sua celebrità economico-politica, ma già sulla via del declino, al pari del LVI di Predappio all'alba degli anni '40.
Se dovessi semplificare e banalizzare i primi 120 minuti di Loro, l'attesissimo film (suddiviso in due puntate) di Paolo Sorrentino, lo descriverei proprio così: una prima frazione incentrata sul personaggio di Sergio Morra che, interpretato da Riccardo Scamarcio, riporta alla mente il faccendiere Gianpaolo Tarantini, romanzandone l'esperienza, tra corpi nudi, scene di sesso, festini sfrenati e certe piste che nemmeno Indianapolis; e una seconda frazione dedicata alla figura di Silvio Berlusconi, i cui panni sono vestiti dal magistrale Toni Servillo.
Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) e la moglie Tamara (Euridice Axen)
Il lungometraggio, come sottolinea il regista, rappresenta una "finzione in costume che mette in scena fatti verosimili, o anche inventati, avvenuti in Italia tra il 2006 e il 2010".
La finzione si mescola, dunque, alla realtà, dove lo stile grottesco di Sorrentino (già palesato ne La grande bellezza) esplode, soprattutto nella prima parte, in tutta la sua seppur lenta prorompenza. Ciò enfatizza il cinico arrivismo di Sergio Morra e l'untuoso servilismo dell'ex ministro Santino Recchia (interpretato da Fabrizio Bentivoglio, in un ruolo che concentra, in un unico personaggio fittizio, tutti quei politici che negli anni hanno tentato di sostituirsi invano al leader del Centrodestra), i quali, nell'intreccio della trama, si trovano ad interagire con persone tuttora esistenti, come Veronica Lario (Elena Sofia Ricci), Mariano Apicella (Giovanni Esposito), Noemi Letizia (Pasqualina Sanna) e soprattutto Silvio Berlusconi.
Ed è proprio Berlusconi il protagonista della seconda ora, ambientata, perlopiù, nella solitudine della sua villa in Sardegna, alle prese con la crisi coniugale vissuta assieme alla moglie dell'epoca. Un Berlusconi ancora famoso e influente, ma politicamente sconfitto, fisicamente stanco, emotivamente indebolito, che tenta di recuperare fiaccamente l'amore (o forse la stima, la fiducia) della Lario, non più disposta a barattare la propria dignità per qualche regalo o qualche gita in barca, lungo le coste sarde.
Coste sarde che, dato l'andazzo e conosciuta la storia (reale), giocheranno un ruolo fondamentale nel prosieguo della pellicola. L'obiettivo di Morra, pappone tarantino cui i piccoli "affari" pugliesi cominciano a stare stretti, è quello di trasferirsi a Roma per diventare il nuovo, per così dire, "organizzatore" delle feste opulente del cavaliere di Arcore. E tale scopo trova le sue fondamenta proprio nell'acquisto di una villa davanti a quella di Berlusconi e nei brevi giri con una modesta imbarcazione che tuttavia, attraverso musica ad alto volume e belle ragazze in costume, sembrano attirare l'attenzione del Silvio nazionale, in attesa del secondo capitolo.
Dal punto di vista "critico", posso dire che, dopo Il divo (film del 2008 dedicato alla figura di Giulio Andreotti e, anche questo, ambientato in un breve lasso di tempo che intercorre tra il 1991 e il 1993), mi sarei aspettato un lungometraggio maggiormente fedele ai fatti realmente accaduti, fin dal principio. Non capisco la scelta del regista di romanzare una vita, quella di Berlusconi, che è già di per sé una sceneggiatura, riducendone al minimo la goliardia (giusto qualche frame qua e là), al fine di riconsegnare al pubblico una figura molto più pacata e "umana" rispetto a quegli istrionici e arroganti comportamenti cui l'ex premier ci ha abituato negli anni.
Tuttavia apprezzo lo stile di Sorrentino e quel suo simbolismo che, attraverso un'immagine, un frammento o una parola, spalanca le porte di un mondo apparentemente sommerso, ma, in realtà, più a galla che mai. Tra questi, il costante utilizzo dei pronomi personali Lui e Loro, pronunciati dai personaggi in un mix di paura, mistero, ammirazione, finanche eccitazione; oppure la proiezione di scene apparentemente insensate ma assai eloquenti, come la morte di una pecora stramazzata al suolo mentre guarda un quiz condotto da Mike Bongiorno (Ugo Pagliai) o il vagabondare di un ratto tra le antiche rovine di Roma... Parole, frammenti e immagini in grado di trasmettere messaggi che potranno essere letti meglio al termine del secondo capitolo, ma che già a metà dell'opera dipingono un potere oscuro, oligarchico ma corruttibile, un popolo ipnotizzato, vacuo e belante, e un presente di degrado sociale, etico e culturale che il glorioso passato (oramai trapassato!) non riesce più a mitigare.

Buona visione!

domenica 4 febbraio 2018

"Sono tornato"...e pare che a molti l'idea non dispiaccia


A un mese esatto dalle elezioni, molti si chiedono quale sia l'uomo giusto per l'Italia, il candidato meritevole di fiducia per poter governare questa "nave sanza nocchiere in gran tempesta", come scriveva Dante. E in un'epoca di tempesta, appunto, tra la pioggia scrosciante e i lampi accecanti, non sono pochi coloro che corrono con la memoria (scolastica più che storica) a quel Ventennio in cui (sono soliti ripetere) la disoccupazione non esisteva e i treni arrivavano in orario (a quanto pare, anche quelli per la Polonia), invocando, quale timoniere, il nome di Benito Mussolini.
Alla luce di ciò, cosa accadrebbe se il Duce riapparisse? Come reagirebbero gli italiani? Coloro che lo ricordano con nostalgia, sarebbero davvero entusiasti di un ritorno a quel tipo di rigore?
A tal proposito, lo scorso giovedì è uscita nelle sale l'ultima fatica cinematografica del regista Luca Miniero, intitolata Sono tornato e incentrata proprio sulla figura di Mussolini. Il film è un remake del lungometraggio tedesco Lui è tornato, diretto nel 2015 da David Wnendt e ispirato all'omonimo bestseller di Timur Vermes, in cui l'autore ipotizza il ritorno sulla Terra, nel XXI secolo, di Adolf Hitler.
Recuperando in toto la trama del film di Wnendt, salvo contestualizzarla a Roma (e non a Berlino) nel 2017, Miniero, attraverso la realizzazione di una specie di "commedia amara", si propone di sottolineare come la figura del Duce e, soprattutto, le sue idee troverebbero un certo consenso nell'Italia di oggi.
Ed ecco, quindi, LVI (ben interpretato da Massimo Popolizio) precipitare, come un asteroide, in Piazza Vittorio Emanuele II, con la divisa militare comprensiva di medaglie e lustrini, il fez nero corredato di aquila imperiale e cordoncino, e i piedi ancora legati (chiaro riferimento all'esposizione del suo cadavere in Piazzale Loreto nel 1945), mentre viene raggiunto da alcuni bambini di colore che, nonostante l'accento marcatamente romanesco, gli fanno supporre una ribellione e una "controffensiva" da parte delle colonie africane. 
L'incontro con l'aspirante regista Andrea (intrappolato nella staticità espressiva di Frank Matano) che, per la maggior parte del film, lo ritiene semplicemente un ottimo imitatore satirico grazie al quale poter realizzare un documentario, consente al dittatore di intraprendere, assieme al giovane cineasta, un viaggio lungo lo Stivale, per ascoltare le considerazioni del popolo.
Evidenziate le perplessità mussoliniane riguardanti la tecnologia e alcune conquiste sociali (dal multiculturalismo al processo di legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali), e riconsegnato allo spettatore un Mussolini che oscilla tra la buffa macchietta e l'intransigente condottiero (anche se il primo aspetto prevale sul secondo), il Duce si confronta con gli italiani del terzo millennio, delusi dalla classe politica dirigente, intimiditi dallo straniero,  preoccupati per la crisi economica e nostalgici di quel Ventennio visto da molti come un periodo di ordine sociale più che di oppressione.
Ed è cavalcando questa ondata di malcontento (cui molti politicanti ancora oggi si ispirano...) che balena nella mente del leader fascista l'idea di sfruttare il disagio sociale per riacquistare il potere, fomentando l'odio nei confronti del diverso e accogliendo di buon grado le riflessioni di alcune persone (non attori, bensì cittadini realmente intervistati) secondo le quali la soluzione sarebbe un ritorno ad una sorta di dittatura, al fine di responsabilizzare un unico individuo. Nell'ottica di questi politologi ed economisti improvvisati, ciò scongiurerebbe la spartizione del potere e diminuirebbe i relativi costi della politica.
Riuscirà il tiranno di Predappio a riconquistare la fiducia e la stima degli italiani (a patto che le abbia già avute durante il suo regime novecentesco)? O il suo destino sarà nuovamente quello di penzolare a testa in giù, al di sopra di una folla euforica? La risposta è nelle sale cinematografiche!
Tuttavia, un altro tipo di risposta può essere già dato: a prescindere dalla convinzione e dalla serietà con cui, durante il film, il Duce viene acclamato e celebrato a suon di saluti romani e teneri selfie,  il lungometraggio di Miniero ci riconsegna un'Italia confusa, spaccata, disincantata e a tratti disinteressata, critica nei confronti degli intrighi di Palazzo, ma al contempo incapace di reagire, preferendo colpevolizzare le minoranze e auspicando, tra il solenne e il faceto, il ritorno di una figura autorevole, finanche dispotica, ma amministrativamente efficiente.
Perché se è vero che, come diceva il Poeta, l'Italia è un Paese "sanza nocchiere", e anche vero che, come diceva Pier Paolo Pasolini, l'Italia è un "Paese senza memoria".
E, in entrambi i casi, il risultato è deleterio.

Buona visione!