E anche se ci sforzassimo di risalire la corrente cronologica, nuotando come salmoni fino a quel V secolo a.C. che assistette alla messa in scena di opere spiccatamente satiriche come Le nuvole o Le rane di Aristofane, difficilmente troveremmo una risposta convincente a tale domanda.
Questa mia riflessione nasce dalle recentissime vicende che hanno chiamato in causa il concetto di “Satira”.
Episodi diversi, ma complementari: il disegno del vignettista Mario Improta che ha ritratto l’Unione Europea come un campo di concentramento nazista da cui fugge il premier britannico Boris Johnson; e il post social di Michela Murgia in difesa dell’autrice di un selfie con dito medio rivolto ad un assopito Matteo Salvini.
Cito questi due avvenimenti perché, in entrambi i casi, penso che l’aggettivo “satirico” sia stato aggiunto inopportunamente dai suddetti protagonisti.
La Satira, come vuole l'etimologia lanx satura (piatto pieno di macedonia di frutta), è una miscellanea, una commistione di stili e di registri linguistici e grafici. È straripante nella sua irriverenza con cui travolge impetuosamente e impietosamente gli schemi, le convenzioni, i costumi.
“Castigat ridendo mores”: una tempesta perfetta che si abbatte sulla società e, tra fulmini e acquazzoni, monda l’immondo mediante la caricatura grottesca, l’invettiva graffiante, la battuta sagace.
Eppure, anche se la Satira è una tempesta, meriterebbe più rispetto.
Approfondendo alcune opere e frammenti satirici, ho comunque trovato dei tratti comuni: lo spirito ironico (animus iocandi), il prediligere obiettivi celebri, il deformare la realtà, il voler trasmettere un messaggio avente una dimensione morale – a tratti moraleggiante – che denudi il "re" e spalanchi gli occhi del suddito, del gregario, dell’elettore! Azioni atte a smascherare chi sfrutta illecitamente la propria posizione politica, economica, religiosa o sociale per spadroneggiare sui più deboli.
Tuttavia, nonostante l’indiscusso ruolo svolto dalla Satira, c’è chi ne abusa usandola come scudo a difesa delle proprie insolenti e ingenue bischerate, a sostegno di quelle mere offese che nulla hanno a che vedere con il dileggio pungente e arguto, tipico del genere.
Certamente la Satira è anche aggressiva, feroce, caustica, volgare! Ma se si perde di vista la dimensione morale evocata da Dario Fo, seppur nella sua indubbia soggettività, se alla burla non segue la denuncia critica, se non si tenta nemmeno di innalzarla oltre un paragone insensato come quello di Improta oppure oltre il dito medio a Salvini, con conseguenti capriole retoriche di Murgia, si potrà continuare ad abusarne indiscriminatamente e ad additare come satirico ciò che è semplicemente diffamatorio.
Da un punto di vista giurisprudenziale, sviluppato attraverso numerose sentenze della Cassazione la quale ha individuato tre elementi (celebrità del satireggiato, continenza del messaggio satirico e pertinenza di quest'ultimo) affinché un'opera possa definirsi satirica, si potrebbe dire che, in entrambi i casi, manca proprio la pertinenza.
Infatti, come non ha senso paragonare l'UE ad un campo di sterminio, non ha ugualmente senso un gesto volto alla mera offesa tradotta nel dito medio al leader leghista.
La Satira, dunque, è una musa da tutelare e da invocare con cognizione di causa, dotata di quell’ironia scudisciante, di quell’astuzia bizzarra, di quell’eleganza sgraziata che ci garantisce di poter ridimensionare i potenti, di tenerli a bada, di non diventare come loro.